Qui nel nostro salottino siamo in vena di giochi, lazzi e garbugli. Ieri Sonia ha raccontato su Primo Piano l’estate della signorina Marisa. Oggi la sgangherata congrega di Pian Piano si diletta nel costruire una soundtrack per quella narrazione in modo non ortodosso, con salti, acrobazie e un paio di follie. Partiamo dal 1968, un anno prima dello sbarco sulla luna. Un certo Stanley Kubrick firma “2001 a space odissey” e dalla colonna sonora di quel film prendiamo il nostro primo brano, “Lontano” di Gyorgy Ligeti.
Se noi guardiamo dalla terra lo spazio, è altrettanto vero che dallo spazio lo sguardo può essere rivolto alla terra, ai nostri minuscoli corpi, ai nostri sentimenti ridotti a pulviscolo, deserto, oceani e nubi….
Immaginate la signorina Marisa mentre tra il 20 e il 21 luglio del 1969 guarda lo sbarco sulla Luna. Chiudete gli occhi e in un attimo immaginate Armstrong, Aldrin e Colins che danno un’occhiata alla terra nell’imminenza della discesa sul suolo lunare. Li sentite battere i loro cuori? In quel momento la signorina Marisa si incanta davanti al televisore, non sente più i suoni che la circondano, ma una strana musica, la stessa che hanno nelle orecchie i tre dell’ Apollo11:
La nostra protagonista è incaricata di seguire delle ragazze in vacanza fra i tredici ed i diciassette anni, alla fine dei mitici anni 60. Un periodo magico per la musica. Pensate che significato potesse avere ed ha per una ragazzina dimenticare i genitori per un paio di settimane, le sensazioni, il gusto per la complicità e per le chiacchiere fino a tardi, con compagne di stanza conosciute o tutte da conoscere. Accostiamo il loro entusiasmo alla dolce malinconia che pervade Marisa ed al suo desiderio ancora vivo. Ci pensano i Beatles con Dear Prudence?
https://www.youtube.com/watch?v=VmF698mXzLg
Lasciamo schiamazzi e risate di ragazze e ragazzine alle prese con le attrazioni della sala giochi “Il Dollaro” e seguiamo Marisa in una serata libera, dove si concede sulla spiaggia ad una serie di abbracci notturni con un ragazzo di nome Federico. D’obbligo un Gino Paoli per la nostra eroina in cerca di carezze o se preferite qualcosa di alternativo un Soft Cell d’annata che ben s’intona ai loro sospiri.
Tuttavia nel salottino è piaciuta particolarmente la scena finale: Marisa ormai anziana ha fra le mani uno dei tanti libri amati, divorati, letti e riletti: “Il deserto dei tartari” di Buzzati. Siamo rimasti colpiti soprattutto da quel suo enigmatico sorriso, che non è per nessuno se non per le labbra su cui si incide e per il mare, lo stesso mar Adriatico che inalterato le fa da sfondo dopo tanti anni.
Le cose vanno, le cose vengono e si rincorrono. Chissà se fra quelle ragazzine che accompagnava a Milano Marittima non si nasconda proprio ora una nuova Marisa, che solitaria si immerge nella letteratura, malinconica abbraccia sporadici amanti e silenziosa naviga gli accidenti dell’esistenza? Un metafisico Bob Dylan in un suo disco capolavoro aumenta i nostri dubbi.
L’eterno indecifrabile si ripete? La nostra protagonista con i capelli bianchi ed il corpo stanco è la stessa che insegnava a leggere e scrivere ai bambini? Altre signorine popolano il deserto dei tartari che è l’Universo intero? Niente accade e tutto si ripete?
Le chiavi del nostro salottino sono affidate dalla signorina Marisa (la salutiamo con Mahler) a Jorge Luis Borges.
IL DESERTO
Prima di entrare nel deserto
i soldati bevvero a lungo l’acqua della cisterna.
Ierocle gettò per terra
l’acqua della sua brocca e disse:
Se dobbiamo entrare nel deserto,
io sono già nel deserto.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è una parabola.
Prima di sprofondarmi nell’inferno
i littori del dio mi permisero di guardare una rosa.
Quella rosa ora è il mio tormento
nell’oscuro regno.
Un uomo fu abbandonato da una donna.
Stabilirono di fingere un ultimo incontro.
L’uomo disse:
Se devo entrare nella solitudine
sono già solo.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è un’altra parabola.
Nessuno sulla terra
ha il coraggio di essere quell’uomo.
Jorge Luis Borges
El desierto, da La cifra, 1981 – Traduzione di Domenico Porzio
“la signorina Marisa siede su una panchina ed attende:
attende l’inevitabile fine del suo tempo, e riordina i pensieri.
In fondo, ha aspettato per tutta la vita che quelle nubi all’orizzonte si materializzassero in qualcosa di concreto, non qualcosa che cambiasse il corso delle cose – no, ha sempre saputo distinguere i sogni dalla realtà- ma piuttosto qualcosa che segnasse una ideale linea di demarcazione tra il “prima” e il “dopo”.
Ecco, quella era la sua idea di cambiamento.
Quell’estate del 1969 rimase impressa nella mente di molti per la suggestione dello sbarco degli americani sulla luna, e certo la signorina Marisa subì la medesima fascinazione, ma nel suo personale archivio non fu quello l’evento memorabile.
L’incontro con Federico -perfetto nella sua fugacità- le regalò un ricordo che l’avrebbe accompagnata per sempre”.
Eppure, la signorina Marisa non era certo tipo da “one night stand”…
https://youtu.be/Nc9saY_XcXY
Ognuno di noi non è più lo stesso di pochi istanti prima, poiché tutto scorre, ma certo diveniamo la somma e la sintesi di ciò che siamo stati, o meglio l’elaborazione di ciò che siamo stati e quindi di ciò che abbiamo vissuto.
(Se tutto va come dovrebbe: perché si può anche rimanere intrappolati in un passato che non si riesce a superare, @drdedalo lo sa bene).
Ed è infinitamente più saggio ricordare con affetto un evento per ciò che ha rappresentato in quel preciso istante della nostra vita, che non rimpiangere gli sviluppi che non vi sono succeduti.
E’ una piccola, fondamentale differenza: che consente alla signorina Marisa di non percepire come un personale fallimento una quotidianità che non ha potuto cambiare.
E dunque mi pare bello concludere con un commovente Luigi Tenco del 1966, che rappresenta esattamente l’interpretazione opposta.
https://youtu.be/FbSKeLHAYoQ
Naturalmente, la signorina Marisa, che mai avrebbe pensato di suscitare tanta affettuosa attenzione, ringrazia non senza un poco di sincera commozione.