I problemucci del risparmio italiano

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Intervento sul risparmio degli italiani diviso in due post: quello odierno per fare il punto dei limiti e dei potenziali (ironico, NdA) conflitti di interessi nella gestione del risparmio, e la debolezza della struttura delle Banche Reti che si interfacciano con la clientela nella gestione del risparmio, nell’offerta dei servizi di investimento e in particolare nella consulenza.
La prossima volta invece vedremo i dettagli di una vera e propria rivoluzione a venire l’anno prossimo, che nelle intenzioni dei legislatori vorrebbe guarire il sistema europeo dai suoi mali in nome della garanzia di migliori servizi di investimento. E valuteremo se la rivoluzione sarà veramente tale.

LA MAGNIFICA PREDA

L’Italia è uno dei paesi con la maggiore propensione al risparmio al mondo, sfortunatamente coniugata con uno dei peggiori livelli di cultura finanziaria a tutti i livelli, cittadino e piccolo bancario di filiale: un mix terribile.
A questa già avvilente situazione si uniscono altri difetti, tipici di Reti di collocamento bancarie come quella italiana.
1. La qualità della consulenza: è fondamentale la formazione continua in molti campi, quali la normativa finanziaria, fiscale e successoria e le competenze a comprendere i mercati e leggere i quotidiani (sembra irreale ma è così), ma non sempre è così, specie per i piccoli bancari in filiale, “consulenti” a cui sono state tolte molte competenze, girate a ignoti uffici interni, e la cui mission principale da anni è ‘vendere tegami e padelle’. Questa pratica di vendita di vasellame è tanto più forte quanto più il risparmiatore è considerato ‘piccolo’ in termini di volumi di denaro investito. É la famosa ‘segmentazione della clientela’, divisa in fasce di reddito/patrimonio a cui abbinare quote sempre più elevate di consulenza specialistica, personalizzata e competente.

2. La varietà e completezza della offerta di prodotti e servizi: la segmentazione come dicevamo è un fattore potenzialmente (ancora ironico, NdA) limitante per la qualità del servizio. Basta un giro in qualche riunione di segmento per capire che i retailers (piccoli risparmiatori clienti diretti delle filiali di paese) sono considerati poco più di mucche da mungere. In realtà anche altri segmenti, quelli chiamati ‘affluent’ o ‘personal’ a seconda della banca, clienti con patrimoni un poco più grandi (da alcune decine a alcune centinaia di migliaia di euro) sono considerati tali: li accomuna la limitatezza dei prodotti offerti che sono esclusivamente quelli della propria banca che non è detto riescano a coprire tutte le esigenze di pianificazione finanziaria e previdenziale della clientela, e/o al minor costo per essa.
La segmentazione diventa così una trappola tipo sabbie mobili per il cliente, e un business per la banca, ora vediamo come.

3. Le pratiche comerciali che distruggono valore: se la cultura finanziaria di chi hai di fronte, e pure la tua di gestore di filiale sono modeste, e i prodotti sono limitati al tuo catalogo di banca e sono forti le pressioni commerciali dalla dirigenza ai capetti di zona, giocoforza si arriva a situazioni in cui il risparmio viene distrutto letteralmente dalla adulterazione dei profili di adeguatezza MiFID pur di poter collocare ciarpame a destra e a manca.
Questa è una pratica illegale degna di un fascicolo in Procura della Repubblica e pesante sanzione per la banca e per l’impiegato disonesto, e non mi interessa se ‘poverino, subiva pressioni’.
Un’altra pratica di distruzione del valore più “elegante” consiste invece nel movimentare i portafogli esclusivamente per generare commissioni.
Infatti, disinvestire da un fondo per sottoscrivere un altro prodotto (che ne so, una Unit linked o una Index, oppure una obbligazione bancaria), comporta una serie di costi, molti dei quali impliciti nella struttura dell’investimento e quindi opachi, e ciò ci porta alla quarta problematica.

4. La trasparenza: l’esistenza di questi costi impliciti (commissioni di retrocessione per le Reti e guadagni diretti dele Sgr che gestiscono i risparmi) rosicchiano il valore dell’investimento iniziale e non sono visibili al cliente o lo sono difficilmente, malgrado montagne di fogli informativi e prospetti che confondono piuttosto che aiutare.
Spesso sono più voci di costo, con basi di calcolo diverse tali da rendere arduo quantificare il vero costo.
È anche per questo che certe fasce/segmenti, in verità molto alte, di clientela chiedono sempre più spesso un servizio basato esclusivamente sulla consulenza con il pagamento di una sola fee trasparente.

L’ORGANIZZAZIONE

Come è chiaro dai primi due punti sopra esaminati, il tipico business delle banche italiane è la vendita di strumenti di risparmio gestito prodotti in casa da altre società captive appartenenti allo stesso Gruppo Bancario. In tal modo parte delle commissioni viene retrocessa alle Reti bancarie che ne hanno curato il collocamento.
Un altro modello è quello open architecture, innovativo ma meno diffuso: la banca realizza accordi di distribuzione con Sgr esterne in logica di outsourcing, ricevendone ancora una commissione di collocamento. É in genere il modello preferito dalle banche piccole, di carattere locale, tipo piccole popolari e le BCC. Tuttavia, le riforme recenti abbiano spinto le prime a trasformarsi in SpA qualora superino un limite dimensionale, quindi invogliandole a fondersi per non essere scalabili in assenza del precedente voto capitario, e a creare struttuee più complesse e quindi costruire case prodotto ‘in house’.
Le BCC invece si sono trovate costrette a creare una (ironico ancora, NdA) holding per concentrare in un unico soggetto la creazione di sistemi informatici, compliance e prodotto unici.[sociallocker].[/sociallocker]

Negli ultimi anni però si è assistito ad un progressivo forte ripensamento strategico, dovuto ad una pluralità di cause:
1. La trasparenza dei costi in relazione alla performance delle gestioni del risparmio, specie in seguito alle richieste delle fasce alte e altissime della clientela come prima evidenziato.
2. La ripartizione dei ricavi (le commissioni per il cliente) è fortemente a favore delle Banche Reti
3. Le maggiori retrocessioni previste dalla vendita di prodotti ‘in house’ spinge i consulenti/gestori a preferire i prodotti ‘captive’ perciò si teme che questo tolga pressione competitiva per migliorare i prodotti e anche il servizio offeryo al cliente che già si trova ingabbiato nella segmentazione.

In questo paesaggio che sta già mutando di suo, si abbatterà a inizio anno nuovo la direttiva europea MiFID 2 che vieterà le retrocessioni alle Banche Reti.
Di questo parleremo la prossima volta dettagliatamente.
Ora facciamo il punto: la qualità del servizio consulenziale è molto frammentata all’interno di ogni banca, con clienti piccoli e medio-piccoli da spremere e a cui collocare prodotti propri e basta, e impiegati saltuariamente formati e con miasion prevalentemente commerciali, da venditore di padelle più che da consulente.
Costi impliciti opachi e preferenza per la vendita di prodotti captive che riducono la qualità del servizio e aumentano i potenziali conflitti di interesse.
Il mix è terribile e proprio questi sono i difetti che la nuova direttiva vorrebbe curare
Ma forse in Italia qualcuno e qualcosa si è già mosso per evitare di perdere un business profittevole.
Proveremo a capirlo al prossimo post.

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Pubblicato da Banchiere Cannibale

Mi piace avere vecchi amici a cena... Perché sotto la più bella ruota di pavone si cela sempre un culo di pollo.

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