QE trade e la lezione che non impariamo mai

Talvolta i mercati finanziari, in teoria il luogo ideale per il calcolo asettico che domina qualunque emozione, diventano apparentemente il regno dei controsensi. Accade quando a dati economici negativi o deludenti le borse reagiscono salendo, ma non è affatto un controsenso: i mercati registrano con gioia che l’economia ha ancora bisogno di aiuto, di sostegno, e sanno che il sostegno che arriverà sarà erogato attraverso stimoli monetari, aiuti delle banche centrali, di cui finiranno per beneficiare. Quindi “state tranquilli: l’economia va male“.

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E d’altra parte una banca centrale cosa può fare se non ritoccare i tassi, le modalità di comunicazione, iniettare liquidità e fare moral suasion sui governi? L’impatto varia a seconda dello scenario: se fosse di piena occupazione in aziende competitive lo stimolo si trasformerebbe in benzina per l’economia reale, nessun altro modo di investire sarebbe più efficiente. Viceversa, in condizioni di elevata disoccupazione, scarsa produttività e dunque basse prospettive di crescita, quel capitale non viene investito in economia reale, né riesce a generare inflazione o occupazione. In quel contesto il modo più semplice di guadagnare, di investire con successo, diventano i mercati finanziari: grazie agli stimoli monetari i tassi ed i rendimenti scenderanno facendo rivalutare le obbligazioni e rendendo più appetibili le azioni.

Quando il gioco va avanti troppo a lungo e la percezione di un mercato dai guadagni facili si diffonde, la voglia di sfruttare il momento favorevole prende il sopravvento: chi ha un patrimonio da investire può farsene prestare altrettanto (a tassi molto bassi) per raddoppiare la propria capacità di investimento, incontrando oltretutto la disponibilità delle banche a prestare la liquidità in eccesso.

Un meccanismo che accelera progressivamente, in questo inseguimento tra soggetti che cercano di anticipare sul mercato gli avvenimenti del mondo reale, fin quando un “dato di realtà” come il Pil americano uscito giovedì a +0,2% anziché a +1% fa venire il sospetto che le azioni siano sopravvalutate, i tassi troppo compressi e che il dollaro sia troppo forte. Così nasce la corsa a “smontare tutto”, con molti investitori esposti per cifre superiori al proprio patrimonio, ed il mercato diventa improvvisamente volatile ed il suo movimento rivela la sua natura speculativa: a fronte di un brutto dato sulla crescita Usa scendono con forza i listini europei, i bund, i BTp… e nelle ore seguenti la discesa diventa conferma della necessità di fare altre vendite.

Il fatto che in sole 48 ore di operatività l’allarme sia rientrato e sia tornata la consapevolezza che “tanto ci pensano le banche centrali” ci racconta che il meccanismo è ancora lontano dal suo punto di rottura, ma che racchiude in sé una perversione: gli stimoli sostengono il mercato comprando tempo per l’attuazione delle riforme, ma il mercato sostenuto – diremmo “anestetizzato” – allontana la percezione della necessità di riforme per la competitività e lo sfruttamento (non imposto ex lege ma efficiente) della capacità produttiva. Senza quelle riforme, tutti gli aiuti che Draghi intende e riuscirà ad erogare, dibattendo aspramente con il fronte del nein, andranno inevitabilmente a ingigantire quel regno dei controsensi perfettamente razionali di cui sempre più soggetti stanno imparando a beneficiare con sempre meno prudenza.

Articolo pubblicato il 04 Maggio su Econopoly- Il Sole24Ore
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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

2 Risposte a “QE trade e la lezione che non impariamo mai”

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