Rating mon amour

mon amour

Il teatrino della politica italiana ha ridato slancio alle agenzie internazionali di valutazione del merito di credito, riportando l’attenzione degli investitori internazionali sui rischi di un ulteriore declassamento del Rating.
L’agenzia Moody’s ha da poco rilasciato un report di aggiornamento sul rischio di credito dell’Italia affermando che l’incertezza politica recente è “credit negative“, un modo per dire che un downgrade del rating è più probabile di prima. Sulla stessa linea Fitch e Standard&Poor che ha addirittura accorciato l’orizzonte di verifica. Come molti di voi, sarei tentato di dire “chissene“; però, prima di arrivare a questa conclusione vorrei pormi delle domande a riguardo e rendervi partecipi delle mie perplessità.
Prima di tutto dobbiamo capire cos’è un rating: dare un rating non vuol dire altro che assegnare una probabilità di default (cioè di non pagare o rimandare il debito o parte di esso o le cedole) in un orizzonte temporale congruo. Per esempio, secondo le tabelle di S&P, la probabilità di default ad un anno di una BBB è circa 0.18%, mentre a 10 anni è di 4.34%. Invece, passare da una classe BBB+/- (Italia adesso) ad una BB+/- vuol dire aumentare le probabilità di default dallo 0.18% all’1.06%, pressoché insignificante. Come cambia la probabilità se si guarda un orizzonte a 10 anni? nel nostro esempio, si passa dal 4.34% al 17.7%. Qui la cosa si fa seria: avere quasi 1 probabilità su 5 di incorrere in un fallimento non è proprio da sottovalutare.

Secondo passo: come si assegna un rating? una agenzia di rating assegna la probabilità di default in base ad una serie di indicatori economici, di finanza pubblica, di rischio e di vulnerabilità definendo i punti di forza ed i punti di debolezza in base a parametri quantitativi. Il giudizio finale tuttavia è puramente qualitativo e si basa sia sui dati attuali sia sulle capacità future di raggiungere gli obiettivi prefissati da parte di un governo (ndr credibilità). Quindi possiamo dire ex-post che c’è molta verità in un rating, più di quanta non siamo disposti ad accettare.

Altro punto: il Rating sull’obbligazionario corporate o governativo, consente di stimare il grado di rischio di un investimento inteso come perdita attesa. Questo metodo, essendo di facile accesso e semplicità, è utilizzato soprattutto da quelle tipologie di investitori che non possono o non sono in grado di valutare autonomamente il grado di rischio di un investimento. Senza incorrere nella pubblica gogna, posso facilmente affermare che i ratings non sono del tutto inutili. In passato il Regolatore ha costruito in base al Rating tutta la normativa relativa alle scelte di investimento e protezione del cliente, rendendolo intimamente connesso alle scelte di tutte le categorie di investitori. Solo di recente abbiamo scoperto che basarsi esclusivamente su tali rating può essere fuorviante. Infatti dovrebbero essere considerati solo un punto di partenza di una analisi molto più approfondita in cui, oltre alla valutazione quantitativa di scenari futuri, si possa aggiungere quella sul contesto socioeconomico ed istituzionale andando oltre il semplice esercizio di pooling di dati economici/finanziari.

La crisi europea del debito sovrano, ancor prima Lehman e la crisi dei sub-prime, hanno evidenziato l’assoluta inutilità dei rating come indicatori sintetici nella definizione ex-ante del rischio di eventi estremi. Non a caso negli ultimi mesi è arrivata una direttiva europea, già recepita da Bankitalia e CONSOB, che riduce l’importanza dei rating nelle scelte d’investimento ed allo stesso tempo richiede agli attori del mercato finanziario di arricchire l’analisi in modo da comprendere al meglio il rischio (sempre ex ante) della propria asset allocation.
Se, per esempio, il budget 2014 da presentare all’ecofin di metà ottobre non dovesse risultare convincente nei metodi e negli obiettivi, si potrebbe assistere ad un declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di Rating. In tal caso, questa variazione della normativa dovrebbe ridurre gli effetti sui mercati finanziari della discontinuità tipica dell’avvicinamento alla soglia di sub-investment grade (Junk).
Il progressivo indebolimento del significato dei Rating sta modificando il comportamento degli investitori, anche quelli di lungo periodo come fondi pensione ed assicurazioni, ormai presenti su paesi che mostrano ratings più bassi dell’usuale. Il Regolatore quindi favorisce il mantenimento di titoli sub-IG se in presenza di determinate caratteristiche qualitative: come se Bankitalia e Consob avessero implicitamente “downgradato” tutti i limiti di regolamento e di rischio basati solo su Rating che vincolavano fino a poco tempo fa i maggiori detentori di debito italiano.
A mio parere un cambiamento del Rating sull’Italia non avrebbe effetti nemmeno sulla percezione degli investitori istituzionali esteri, ormai abituati a considerare altre variabili nella scelta dell’allocazione del rischio.

Per concludere, in presenza di un declassamento l’Italia farà la solita figura di ultima della classe, ma almeno non si dovrà ricorrere a misure straordinarie (OMT) e le attese di coloro che da anni prevedono una ristrutturazione del debito italiano risulteranno deluse ancora una volta.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da liukzilla

Wealth/Asset manager. Ha sposato la causa dei bond ed è ossessionato dalle banche centrali.

17 Risposte a “Rating mon amour”

  1. Mi risulta anche che un Bonos spagnolo renda meno di un BTP italiano. Non so a voi ma a me avere uno spread superiore al popolo del “manana por la manana” (n.d.r un popolo tendenzialmente di pigri) ruga un pochino….
    Un grazie ai vari Grillo del bel paese.

  2. ma… e se gli dicessimo un bel mattino che le probabilità sono certezze?

    Mi ha stuzzicato la fantasia vedere il timor panico che si è generato in Europa quando ad un certo punto sembrava saltasse tutto

    Evvaii Sansone con tutti i filistei …così… “per vedere di lontano l’effetto che fa ” 🙂

  3. …a chi mi vorrebbe dire che il giorno dopo i bancomat sarebbero vuoti ed i supermercati svuotati, vorrei rispondere che forse sarebbe finalmente la sferzata giusta per ricreare i NUOVI ITALIANI .

    Perchè il solo futuro possibile per l’Italia è che cambi la mentalità dell’italiano medio.

    1. Sarebbe bello ricreare “nuovi” italiani senza cancellare l’esistente; in quel caso si getterebbe il bambino con l’acqua sporca

  4. @yuma
    ti dirò che faccio talmente tanta fatica nel tentativo (vano) di cambiar me stesso, che proprio non ho la speranza di veder cambiare l’Italiano medio, che se ci pensi di tempeste ne ha già viste, anche se dalle ultime siamo forse troppo lontani…

    Certo se mai si cambia è la sofferenza l’unico motore efficace.

    Per il rating e non solo: occhio agli USA questa settimana..
    http://www.theguardian.com/world/2013/oct/06/us-politics-congress?CMP=twt_fd

    Per uno sguardo, secondo me intelligente, sulle politiche delle banche centrali e della FED in particolare:
    http://jessescrossroadscafe.blogspot.it/2013/10/portrait-of-tragic-policy-error-underway.html
    Ditemi cosa pensate degli articoli, se vi va.

    Qualcosa succederà, è solo questione di tempo. Alcuni di noi ci saranno, altri no. Saluto anche io i vecchi compari del bar, qui ristrutturato e ampliato.

    Dai che ricominciamo a romperci in bocca 😉

    1. Sul Rating Usa, il problema del debt ceiling non mi sembra sostanziale ed un downgrade non modificherebbe lo status di creditore degli USA.
      Sulla PolMon, l’articolo mi sembra “leggerino”, ma ognuno ha diritto a dire la propria. Magari proviamo ad approfondire + avanti sul ruolo delle banche centrali.

  5. se quando dici “grossa”, ti riferisci al PIL, allora l’Italia è quasi il doppio del Texas… non che sia un primato. 🙂

      1. se continua così, per poco, pochissimo… eventualmente sosterrei un’invasione della Svizzera per supplire ad entrambe le mancanze, ma tenendo conto che ogni svizzero ha in casa elmetto e fucile, rischieremmo una ulteriore brutta figura.

  6. Dear Liuk,

    lungi da Me difendere le agenZIE di RATing noto che i “più” – ad iniziare MOLTO spesso dagli stessi “insiders” – NON CONOSCONO AFFATTO di cosa si parla o si discute (IL CHE GIA’ LA DICE LUNGA!), riportando o ripetendo – come dei PAPPAGALLI o delle GALLINE – delle mere FESSERIE, instillate – SPESSO e MOLTO – nelle Loro TESTE da “emeriti” PATACCARI.

    Le asimmetrie informative assumono notevole importanza nel contesto evolutivo dei Sistemi finanziari e nella dinamica delle Crisi finanziarie.

    Sia prima sia dopo l’erogazione di un finanziamento, il “soggetto” in deficit possiede più ampie, complete informazioni rispetto a quelle del “soggetto” in surplus.

    Ne conseguono asimmetrie informative che, in entrambi i casi, testimoniano la posizione di vantaggio del soggetto in deficit rispetto a quella del soggetto in surplus.

    Queste diversità informative sollevano problemi per l'”iniziale selezione” delle aziende (intese qui per brevità in senso lato, che siano SINGOLI Stati oppure solo di credito e non) e delle imprese (intese qui per brevità in senso stretto) ed il successivo controllo sul loro comportamento nell’utilizzo delle risorse monetarie richieste e ricevute.

    Le attività di selezione e controllo si rivelano dunque presupposti aSSai importanti per un corretto inizio ed una positiva conclusione degli scambi creditizi.

    A ben vedere, il “soggetto” in surplus meno informato non può distinguere le buone aziende ed imprese con alti profitti attesi e basso rischio dalle cattive aziende e imprese con bassi profitti attesi e alto rischio ed invece il “soggetto” in deficit più informato conosce esattamente il livello dei profitti attesi e del rischio.

    Il “soggetto” in surplus conosce solo il rendimento atteso medio e il rischio medio dei progetti di investimento dell’Economia e invece il “soggetto” in deficit conosce perfettamente rendimento atteso e rischio del suo progetto di investimento.

    La conseguente fissazione di un prezzo medio rende disponibili allo scambio le aziende e le imprese peggiori ed indisponibili allo scambio le aziende e le imprese migliori, riducendo o annullando nel contempo i “soggetti” in surplus ugualmente disponibili allo scambio.

    Diversità nell’attribuzione di valore all’azienda ed all’impresa e finanziamento di progetti di investimento di bassa e pessima “qualità-resa” (ritorno economico contabile in primis) producono intuibili, conseguenti riflessi sulla prosecuzione dei rapporti creditizi e sulla nascita di nuovi, sorgendo ostacoli ed anche interruzioni nel contesto evolutivo dei mercati finanziari.

    Le tre crisi finanziarie verificatesi a tappe ben cadenzate – dal febbraio 2007 ad oggi – ritrovano spiegazioni in un passato più o meno recente.

    L’analisi e l’approfondimento S-E-R-I-O e NON AD CAPOCCHIAM sono poi riconducibili alle diverse teorie che vengono elaborate e/o applicate (per la complessità dei modelli e/o dei mercati di riferimento).

    http://www.youtube.com/watch?v=oFO_KGr-DKE

    Un saluto.

    _s-U-r-f-E-r_

    1. ma che mi fai, un “copia-incolla” di un libro preso sul web? (a parte le prime 4 righe e le ultime 2)
      Ti rassicuro sulla serietà della mia analisi, prossima volta metto un po’ di formule e frasi incomprensibili.

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