Di Maio alla Camera:
“Il reddito di cittadinanza sara’ erogato su una carta, questo permette la tracciabilita’, non permette evasione o spese immorali con quei soldi”
Il mio cervello lavora per immagini, qui sopra vi agevolo una diapositiva di cosa viene evocato da queste frasi.
“E’ chiaro che se vado con quella carta a comprare un ‘gratta e vinci’ o sigarette o a comprare dei beni non di prima necessita’, la carta non funziona”
è altrettanto chiaro che si creerà un mercato: faccio la spesa “morale” a te e tu giri la cifra cash a me per cose immorali…
“Grazie alle tecnologie è possibile disabilitare l’utilizzo del reddito in alcuni negozi”
Bisognerà dunque comprare ciò che “loro” decideranno essere morale e nei negozi che dicono loro.
Più che di cittadinanza, non sarà piuttosto un reddito di sudditanza?
Inoltre questo reddito di sudditanza viene erogato a deficit, e l’entità del deficit pare mutevole. Son partiti da 2,4% all’anno per 3 anni, poi si è detto che decrescerà se la crescita non verrà raggiunta, poi che verrà restituito l’anno dopo (??), ora leggo Siri con un’idea: ovvero ridurre il deficit se la crescita batterà le attese. Che è l’esatto contrario del presunto meccanismo raccontato ieri.
Oggi compare un’idea nuova su La Stampa: tagliare il deficit se lo spread arriva a 400. Roba che se davvero credi ai poteri forti e alla finanza cattiva stai dicendo: “Vuoi che tagliamo il deficit? Allora fai salire lo spread…”
Cosa se ne ricava unendo i puntini?
Che il #Def -di cui infatti manca il testo- è costruito al rovescio. Dicono che siamo ossessionati dal numerino, ma l’unica cosa che hanno deciso in CdM è proprio solo il numerino: 2,4%. Su quello hanno festeggiato dal balcone. Sui contenuti, sul come e cosa fare col deficit ancora un piano non c’è. E questo, francamente, è imbarazzante.[sociallocker].[/sociallocker]
Nel gestire la cosa pubblica si stabilisce un elenco di priorità politiche, di obiettivi e se ne verifica il costo, arrivando ad un dato finale che andrà messo a bilancio. Qui si è dibattuto e deciso solo del dato finale, rimandando a dopo i contenuti che dovranno determinarlo.
Si dovrebbe decidere di spendere anche stimando l’impatto sul PIL. Ma la musica è diversa: “vogliamo investire sulla felicità dei cittadini, sulla voglia di spendere e sulla voglia di vivere con una qualità della vita migliore”. L’approccio magari fa consenso, ma anche problemi.
“investire sulla felicità” serve a svicolare domande sui contenuti. Quello che è chiaro, però, è che la vera ossessione per i numerini non ce l’ha Bruxelles o l’opposizione (quale?), ma solo il governo, che al di là dei numerini non ha contenuti, ma -al più- banali pulsioni sudamericane.