Un Renzi a Jakarta

Sono appena terminate le elezioni presidenziali in Indonesia e i 2 candidati già si attribuiscono la vittoria. Si basano sugli exit poll, perché i risultati finali saranno noti il 22 Luglio. Si conferma dunque il testa a testa fra Joko Widodo (da tutti chiamato Jokowi) e Prabowo Subianto. Il primo era largamente in testa nei sondaggi, ma una spettacolare rimonta del concorrente ha reso molto incerto il verdetto. Jokowi dovrebbe avere mantenuto un piccolo ma sicuro margine di vittoria e probabilmente condurrà il suo Partito democratico di lotta alla direzione del paese per i prossimi 5 anni. Dalla fine del lungo regime autocratico di Suharto, nel 1998, sono queste le terze libere elezioni presidenziali. Sembra dunque consolidata la democrazia parlamentare che ha aiutato contemporaneamente la crescita economica dell’Indonesia, un significativo riscatto sociale e un ruolo più consono alle sue dimensioni nella scena internazionale.

Questi percorsi le erano stati preclusi nei lunghi anni del Nuovo ordine. Il colpo di stato militare del 1967, il famoso “anno vissuto pericolosamente”, aveva infatti inchiodato l’Indonesia a un progresso impalpabile, lontano dalle tigri Asiatiche, utile soprattutto per l’appartenenza ideologica e la sicurezza nel sud-est asiatico.
Di questo impianto politico, Subianto è l’erede più accreditato, il candidato che ha le maggiori chance di riportare il paese nella nostalgia della potenza autoritaria.

È un ex generale, a pieno titolo nell’élite militare che ha non solo garantito il regime precedente, ma ne ha gestito la conduzione. I suoi trascorsi sono ricordati per le violazioni dei diritti umani e le repressioni della minoranza cinese. Incalzato al riguardo nella campagna elettorale, si è rifugiato nella classica litania di aver soltanto eseguito gli ordini. Ha alle spalle una famiglia potente: sua moglie è la figlia di Suharto e suo fratello è un miliardario che finanza la campagna elettorale. A suo sostegno ci sono i conservatori, i seguaci dell’uomo forte, parte del clero (che nel più grande paese mussulmano al mondo riesce a spostare i flussi elettorali), esponenti della burocrazia, delle aziende di stato e ovviamente dell’esercito. A capo del Greater Indonesia Movement, promette di accentuare il nazionalismo, di dare forza ai poteri del presidente, di consolidare la presa statale sulle materie prime dell’arcipelago. È un ritorno al passato, mascherato da innovazione, riforme, equilibrio gestito con paternalismo.

L’altro candidato ha storia e visioni diverse. Gli obiettivi non sono alternativi – uscire dal sottosviluppo, curare la piaga della corruzione, utilizzare le risorse nella trasformazione e non nell’export – ma i metodi sono diversi. Jokowi sostiene il dinamismo delle piccole aziende e l’apertura al capitale internazionale di quelle pubbliche. Favorisce il micro credito e la concorrenza; usa la tecnologia per sconfiggere l’elefantiasi normativa, è fedele all’impegno indonesiano per garantire la pace e la stabilità. Ha un pedigree eccellente per piacere ai giovani, agli intellettuali, agli imprenditori che non temono la concorrenza. È figlio di un venditore di mobili, lontano dunque anni luce dai circoli politici della capitale. Eletto sindaco di Solo (media città dell’isola di Giava) ha lavorato bene, risolvendo problemi quotidiani e affermandosi come amministratore incorruttibile, vicino alle necessità popolari, per nulla arrogante nei rapporti con il collegio elettorale. È stato poi catapultato a Jakarta, della quale è diventato governatore, fino alla candidatura alla massima carica dello stato.

Se la vittoria sarà confermata, avrà le redini di un paese di 250 milioni di persone, composto da 17.000 isole, emerso da un mare di petrolio, un gigante politico che si avvia a dare forza economica alla sua imponenza. Era il mandato di tutti i presidenti, ma non è stato mai portato a termine compiutamente.

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Pubblicato da Romeo Orlandi

Presidente del Comitato Scientifico di Osservatorio Asia. Professore di Economia della Cina e dell'Asia. Esperto di globalizzazione. Autore, editorialista, relatore a convegni.

2 Risposte a “Un Renzi a Jakarta”

  1. Allora incrociamo le dita per Jokowi…Non sopporto l’idea di dover subire un involuzione del mondo nell’incravattamento a regimi dispotici e totalitaristi..

  2. Il 22 di luglio sapremo si Jakarta avra un Renzi o un ritorno al passato, mascherato da innovazione, riforme, equilibrio gestito con paternalismo.

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