Scusi, da che lato della muraglia trovo Detroit?

grande muraglia

L’inizio della crisi, nel 2008, ha coinciso con la perdita della supremazia della GM nel mercato automobilistico. Il primato dell’azienda statunitense – che sembrava appartenere all’ordine naturale delle cose – era stato conquistato dalla Toyota che continua a detenerlo ancora oggi. L’anno dopo, con la crisi conclamata, un altro titolo passava di mano: la Cina diventava il primo mercato mondiale per le automobili, con circa 18 milioni di veicoli. Cambiava residenza lo scettro dell’automotive, il bastione del capitalismo, del progresso, della tecnologia. Sembrava consegnato alla storia il mito di Detroit, la città simbolo dell’industria; apparivano un ricordo per studiosi il Modello T di Henry Ford, la catena di montaggio, le produzioni di massa, la conquista della libertà personale al volante.

L’industria automobilistica racchiudeva hardware e software: impiegava milioni di addetti e garantiva la mobilità del sogno americano, la frontiera concettuale prima ancora che geografica. I numeri confermano e acuiscono il sorpasso. Se i risultati del primo trimestre saranno confermati, la Cina dovrebbe raggiungere 20 milioni di unità vendute, con le importazioni nette pari a circa 500.000 vetture, mentre ancora nel 2013 le vendite statunitensi – con una forte componente d’importazione – hanno raggiunto 15,6 milioni di veicoli. Dietro questi andamenti traspaiono tuttavia chiaramente dei fenomeni solo apparentemente secondari. Oltre alla ripresa dell’industria negli Usa, anche grazie al massiccio intervento statale, le dinamiche interne alla Cina mostrano contraddizioni importanti. Il boom del mercato privilegia le auto straniere (cioè quelle costruite in Cina in partnership obbligatoria con le imprese locali) rispetto a quelle nazionali, la cui quota di mercato è scesa dal 31 al 27% nel 2013. In un’ironica concorrenza, le aziende cinesi in joint venture hanno molto più successo delle aziende cinesi private e senza alleanze. Le prime traggono vantaggio da rendite di posizione. Per legge almeno il 50% delle j.v. deve essere in mani cinesi.

La norma ha favorito le grandi aziende statali che hanno tralasciato la ricerca e l’innovazione per carpire le disponibilità dei partner stranieri. Questi ultimi hanno a loro volta fruito di successi ininterrotti perché da anni ormai le loro vendite in Cina eccedono quelle nei pesi di origini. I ricavi oltre la Grande Muraglia consentono di bilanciare le perdite nei paesi industrializzati. In particolare, le auto di categoria alta prodotte in j.v. non hanno praticamente rivali in Cina. La produzione interamente nazionale è considerata, a ragione, di qualità più bassa, meno sicura, con uno stile non accattivante e comunque incapace di fornire uno status symbol. Una conferma indiretta deriva dall’estero: le esportazioni cinesi sono in declino, al contrario delle importazioni, trainate dalle berline e dai SUV di lusso. La Cina dunque primeggia in quantità, ma non ancora nella supremazia tecnologica. Il mercato cresce ma non migliora: non vengono lanciati modelli cinesi, nessuna rivoluzione produttiva è in vista, il deficit ingegneristico è ancora evidente.

Il contrasto tra le grandi aziende di stato e i piccoli produttori indipendenti non è stato in grado di creare la concorrenza auspicata. I fondi per progredire non mancano, lo dimostra la recente acquisizione della Peugeot (un’equity del 14%) da parte della Dongfeng di Wuhan. Tuttavia, la proprietà potrebbe non bastare, senza la capacità di gestione, l’esperienza internazionale, una concezione del business basato sulla complessità prima ancora che sul comando. Da anni l’industria automobilistica cinese cresce ma non impone modelli, aumenta il fatturato ma non costituisce un successo imitabile. Detroit ha perso la supremazia contabile, ma ancora per molto tempo l’intero settore sarà identificato con la storia e l’eredità della metropoli del Michigan.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

11 Risposte a “Scusi, da che lato della muraglia trovo Detroit?”

  1. Bene, leggere che anche in Cina cominciano a capire che la qualità di ciò che producono fa schifo non può che farmi felice. Grazie ad Alberto Forchielli per queste informazioni che io leggo come una “debolezza” dell’Impero Capitalistico cinese. Spero che capiranno in fretta che devono, per il bene della Terra, adeguarsi alle Leggi che NOI seguiamo e che hanno indebolito la nostra economia a favore della loro. Così, solo così, potremo lottare ad armi pari…

    1. @Angela Santoro: sei così sicura che sia un bene?
      Quando i cinesi avranno capito come migliorarare ciò che producono (e lo capiranno in fretta), la competizione internazionale si acuirà tremendamente.

      L’Italia già è poco produttiva adesso e sopravvive con le poche imprese che producono qualità e grazia a questa restano competitive. Prova a immaginati cosa accadrà quando anche i Cinesi produrranno qualità.

  2. Gianni per “migliorare” ciò che producono devono puntare sulla “qualità” del prodotto. Qualità significa usare i prodotti di ottima qualità, non cancerogeni né fatti con peli di topo e di gatti. Qualità significa garantire un contratto sindacale ai lavoratori che oggi sono sfruttati e sottopagati. Qualità significa migliorare le emissioni nell’aria di gas nocivi all’uomo e all’ambiente. Smaltimento dei rifiuti tossici prodotti e non riversati nei terreni, nei fiumi e nel mare… Credi che a questo punto saranno ancora competitivi?

  3. Hurun (Report), “The richest People from the car industry 2014” – April 17, 2014 [on data a snapshot of wealth at (the) January 17, 2014]

    http://www.hurun.net/usen/NewsShow.aspx?nid=2501

    Toyota (Corporate news), “TMC announces results for March 2014; fiscal year ending March 31, 2014” – April 23, 2014

    Broken through (alias, S-F-O-N-D-A-T-O) the wall of cars sold: 10.113 millionS – [Y-on-Y: + 4.5%]

    http://newsroom.toyota.co.jp/en/detail/2145981/

    @Gianni

    SOLO in parte hai ragione; i Cinesi, per NOSTRA FORTUNA:

    1- AMANO aSSai il “Made in Italy” – O_g_g_I_giorno PIU’ di NOI – O_R_mai, amiamo SOLO il “Made in TaroCCo” – in TUTTI i “CAMPI-SETTORI”;

    2- tecnologicamente in determinati settori – NON SOLO produttivi – sono in_DIETRO – di aNNi; mediamente gLi ABBIAMO VENDUTO (alias, RIFILATO) le “rimanenze di magazzino”: da NOI erano/sono “FUORI MERCATO” per i protocolli regolamentari IMPOSTI dalla “CEE” (tanto bistratta, quando N-O-N FA COMODO ai “SAPIENTINI”); lì, le regole, infatti … lasciamo stare, “CHE” è meglio;

    3- hanno ancora un FORTE divario tra (le) zone (Province) – abitabili, abitate, produttive e in “via di sviluppo”; per far comprendere: hanno il tim_IN_g “sfasato”.

    Impensabile – per i chiari di luna, anche se NON PESSIMI a MIO PARERE! – che riescano a colmare il GAP_”range” – quantità-qualità – almeno per i prossimi 10/15 anni. A livello NAZIONALE.

    ✍✓ _s-U-r-f-E-r_ ✍✓ [Uè Times… a GO-nf-IE vElE; CHEERS!]

  4. Surfer mi hai strappato le parole di bocca.
    Se non fosse per i cinesi il bel paese chiuderebbe baracca e burattini prima del tempo e c’e’ chi appunto e’ ristretto mentalmente e fa commenti del menga.
    Inutile provare a spiegare.
    Sei sempre un grande e venendo al tuo PS rispondo “speriamo che duri!!!!”
    😉

  5. Surfer d’accordo con Te. I cinesi amano il “Made in Italy”, tant’è che si stanno comprando parecchie nostre aziende, e io incrocio le dita che non li deprezzino riducendoli a paccottiglia come tutto quello che ri-entra in Italia da quei paesi (dai pelati ai giocattoli).
    Riguardo al “gap” produttivo del rapporto qualità-quantità, spero che non dobbiamo aspettare tanto per vederli produrre con oneri uguali a quelli dei nostri imprenditori, italiani ed europei. Solo se anche la loro manodopera si “adeguerà” agli standard occidentali ( e le ultime sommosse sindacali in quel Paese sembrano darmi ragione) noi riusicremo a impedire il monopolio cinese nel mondo.
    Io la vedo così.
    @Time Flies, io non sono una laureata in Economia e Commercio, né in Scienze Economiche e Finanziarie, e forse dirò anche cavolate… Però ti invito a rileggere con più attenzione cosa dico altrimenti qui davvero non si capisce più qual è la candela e quale lo stoppino.

  6. @Surfer: mi auguro tanto che tu abbia ragione, ma HUAWEI è tecnologia, e non vorrei fosse la prossima Samsung.

    Considerando cosa è divenuta Samsung in poco tempo (TV, aspirapolveri, elettrodomestici) prodotta da un paese così piccolo come la Korea, temo il peggio pensando a cosa possa accadere quando il gigante Cinese si leverà.

    E temo avvenga più in fretta di quanto non si creda, la scuola da loro è una cosa seria, difficile ed estremamente meritocratica, che produce personale qualificato ed altamente competitivo eccelente nelle materie scientifiche, qui da noi invece cosa insegnano ancora a scuola? Ah, sì Dante Alighieri e il latino, ho capito, auguri allora!

  7. @Gianni

    Su Huawei – Repubblica Popolare di Cina – e Samsung – South Korea – Ci sarebbero da scrivere DEI plichi – anche M_O_L_T_O “riSErvati”.

    Mi limito – a scriverTi – che come

    !T_U_T_T_E!

    le SOCIETA’ A_S_I_A_T_I_C_H_E

    -! RICORDALO S_E_M_P_R_E E NON DIMENTICARLO M_A_I !-

    .sono delle CONGLOMERATE – alias, “corporation”, con MOLTI lati (“PORTE”) positivi e tantiSSimi negativi (“LABIRINTI OSCURI” – a ricaduta; “pensa alla goccia d’acqua, che vedi, tocchi o Ti arriva in testa, quando piove: quanti chilometri ha fatto, da dove è partita e che “selezione” ha “sconfitto”?!).

    Sul resto, Ti/Vi segnaLo (“solo”):

    Le Scienze, “Disparità di reddito: la Cina batte gli Stati Uniti” – Aprile 29, 2014 (con relativi links interni)

    http://www.lescienze.it/news/2014/04/28/news/disparit_reddito_cina_stati_uniti_indice_gini-2116842/

    M. Pei (L’Espresso, traduzione di M. Baccianini), “Sorpresa, l’università cinese sta fallendo” – Novembre 10, 2011

    http://espresso.repubblica.it/senza-frontiere/minxin-pei/2011/11/10/news/sorpresa-l-universita-cinese-sta-fallendo-1.37181

    P.s: la “DIVINA COMMEDIA” in ORIENTE – Cina e JAPAN, su TUTTI – non La leggono: LA SANNO A M_E_M_O_R_I_A.

    Un saluto – anche alla Sig.ra Santoro.

    ✍✓ _s-U-r-f-E-r_ ✍✓

    1. Surfer, ricambio i saluti..
      Riguardo a quello che si insegna nelle scuole italiane forse Gianni conosce poco la realtà scolastica.
      Interessante quell’articolo che segnali e davvero preoccupante lì dove dice:
      “Purtroppo, è la stessa paranoia politica che ha spinto il governo di Pechino a imporre un rigoroso controllo politico sulla libertà accademica nei college cinesi. Le principali vittime sono le scienze sociali e le discipline umanistiche. Agli studenti di queste materie vengono trasmesse idee false e distorte e i temi politici più scottanti sono tabù. Anche quelli delle facoltà scientifiche e di ingegneria non sono immuni da queste pressioni. E poiché solo i membri fedeli al partito possono ottenere alti incarichi amministrativi a prescindere dai loro meriti accademici, le università cinesi sono dominate da carrieristi senza capacità manageriali o prestigio professionale.”…
      Ch erazza di individui stanno sfornando? Già conosciamo i loro scarsi valori riguardo al rispetto degli ultimi. Ho l’impressione che lì l’unica concezione del “comunismo” continui ad essere: Compagno tu lavori e io magno… Non amo quel paese e mi fa pena quel popolo shciavo del sistema.
      Lo dico da docente fiera di essere una delle ultime, forse, “umaniste” rimaste…

  8. P.G. Altbach, Q. Wang, “Può continuare l’ascesa della Cina?” – Le Scienze: dicembre 2012, numero 530, Pp. 46-47

    http://download.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2012/12/01/103426153-ddf7d608-5c69-4c01-9f06-094945fdc68a.pdf

    (*) …” For instance, the Shanghai Jiao Tong University – Academic Ranking of World Universities (ARWU) – indicates that the best way to determine “World-Class” status is to count the number of Nobel laureates and international awards for faculty, research dollars generated, the percentage of graduate students, and the amount of papers indexed by Citation Indexes of Thomson.

    The ARWU proposes four criteria to identify national strengths and weaknesses of research universities:

    1) quality of education,

    2) quality of faculty,

    3) research output,

    and

    4) per capita performance.

    Despite ARWU strong emphasis to measure institutions based on research output, especially in the field of science and technology, the use of international academic rankings plays a major role in determining a nation’s global competitiveness and encouraging higher education stakeholders to pursue a culture of quality assurance as well as a high degree of international recognition.

    Thus, institutions striving to achieve “World-Class” status are often pressured to acquire an abundant amount of resources to respond effectively to the demands of a fast changing global knowledge and information-based economy. “… (*)

    by

    R.Y. Chan, “Can China keep rising in the age of globalization? – Chinese students’ learning and living experience at two “World-Class” Research Universities in East Asia” – [International Journal of Chinese Education (Brill): Issue 3 (1), Pp. 74-108 – June 1, 2014]

    http://www.academia.edu/4064245/Can_China_Keep_Rising_in_the_Age_of_Globalization_Chinese_Students_Learning_and_Living_Experience_at_two_World-Class_Research_Universities_in_East_Asia

    (*) P. 82 [see to also the footnotes 23 and 24 in (the) link just reported].

    ✍✓ _s-U-r-f-E-r_ ✍✓

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