Se soltanto

E’ la vigilia di Natale, mezzogiorno.  Milano non si ferma, freme e luccica, è ancora inebriata dai vapori sapidi dell’Expo 2015, la grande kermesse, che il mirabolante Albero della Vita vegli su di noi e ci indichi il cammino. Siamo tutti più grandi, più nutriti, più energici. Tutti, tranne quelli che in questi ultimi anni sono rimasti indietro, quelli che non hanno saputo afferrare la cresta dell’onda del cambiamento epocale.

Ronchetto delle Rane è la campagna di risaie e di campi di granoturco ai margini della città; un paesaggio monotono eppure vi si scorge un’atavica, geometrica bellezza. La nebbia densa e bassa offusca le sagome degli allucinati palazzoni del Gratosoglio e nell’indefinitezza dell’orizzonte, con uno sforzo di fantasia, si potrebbe immaginare che là in fondo vi sia il mare, oppure ci si potrebbe inventare il profilo morbido e condiscendente delle colline.

Nella grande arena recintata, di fianco alle scuderie, una donna sta galoppando in sella a un cavallino baio. Il suo corpo asseconda il movimento del cavallo in naturale sincronia, tiene   le lunghe redini nella mano destra, delicatamente poggiata sul collo dell’animale, il busto eretto, una voluminosa chioma castana oscillante sulle spalle. Sembra che al mondo non esista altro, all’infuori di quel movimento fluido e perfetto, che buca la nebbia per qualche istante e poi scompare.

ALICE

Non c’è nessuno in scuderia. Certo, è mezzogiorno della vigilia di Natale, tutti sono alle prese con qualche preparativo per stasera o per domani. Io non ho altro da fare che aspettare che mio marito torni a casa, in tempo per la cena con i suoi amici del circolo del tennis.

In queste ore me lo posso immaginare in una camera di motel o in qualche appartamentino di periferia, che scambia effusioni e doni con la sua amante. Chi sia, non mi importa, e del resto ho capito da tempo due cose fondamentali: che ne sarebbe sempre seguita un’altra, e che sarebbe sempre e comunque tornato da me.

Sento l’umidità sulla pelle del viso ma è gradevole, poco più di una carezza fresca. Minuscole goccioline iridescenti risplendono sulla criniera nera di Devil e sui miei capelli, il mondo attorno sembra uno spazio infinito e i rari rumori giungono ovattati dalla foschia biancastra: tutta questa vaghezza non piace a Devil, e percepisco la sua agitazione. Lo metto al galoppo in un cerchio largo e intuisco la sua voglia di correre dal respiro accelerato, che produce continui sbuffi di condensa dalle narici. Lo lascio andare, abbandono la mano sul suo collo caldo e chiudo gli occhi, concentrandomi sul ritmo di un potente avanzare. Sento che si sta rilassando,  è veloce e leggero al punto che pare che i piedi non tocchino terra. Quando riapro gli occhi e guardo le impronte sulla sabbia mi accorgo che non abbiamo deviato di un centimetro dal cerchio. Io e lui, due corpi in perfetta armonia.

A tradimento, mi ritorna in mente la prima volta che ho incontrato l’uomo che sarebbe diventato mio marito, in casa di comuni amici: ma è passato così tanto tempo, e io non sono più la ragazza di allora. Lui, invece, è invecchiato senza mutare, che non è mai un complimento, e io avrei dovuto immaginare che sarebbe stato così.

Quando scendo di sella, ho preso una decisione per la quale sono finalmente pronta, e mi sento addosso l’energica levità del galoppo di Devil.

FRANCO

Sarà certamente da insensibili bastardi – come ha detto lei – chiudere una relazione la vigilia di Natale, ma all’improvviso ho fretta di girare pagina. Sono stanco di inventare storie, di stare attento ai luoghi che frequento, alle telefonate, alle mail e agli sms.

Non sono mai stato fedele in tutta la mia vita, mai: eppure, credo di essermi innamorato di Alice fin dalla prima volta in cui ci incontrammo, a quella noiosissima cena a casa di qualcuno, non ricordo nemmeno più chi, son passati dieci anni.

Lei aveva ventidue anni ed  ero stato subito attratto dalla sua passione, dal fervore con cui si buttava in certe discussioni con quei commensali sovrappeso dai cervelli intorpiditi da troppo benessere, il più delle volte acquisito per diritto di eredità, non sudato e guadagnato come quello del sottoscritto. Io a quell’epoca avevo quarant’anni, una laurea in chimica ottenuta studiando di notte perché di giorno lavoravo, e si stava finalmente  concretizzando una prospettiva di carriera che non intendevo certo lasciarmi sfuggire.

Alice aveva un corpo longilineo e scattante, il volto affilato  ed espressivo, la carnagione diafana e grandi occhi marroni dallo sguardo penetrante enfatizzato da sopracciglia marcate, e un’infinità di capelli castani e mossi che imprimevano alla sua fisionomia un’aria guerriera. Si muoveva a scatti nervosi e parlava accompagnandosi con un gesticolare concitato delle mani. Facemmo l’amore quella sera stessa, e fu come se i nostri corpi si fossero già abbracciati in un qualche remoto passato.

Lei frequentava l’Accademia di Brera per le Arti Visive e lavorava in una piccola cartotecnica come grafica: un lavoro mal pagato e che non le piaceva, ma le occorreva per mantenersi gli studi, visto che proveniva da una famiglia che campava con il modesto stipendio del padre. Ci eravamo frequentati per sei mesi prima che le chiedessi di sposarmi, e in quel periodo qualsiasi desiderio per le altre donne era del tutto svanito. Al ritorno dal viaggio di nozze l’avevo convinta a lasciare il lavoro per dedicarsi agli studi a tempo pieno.

Fu forse la certezza di ritrovarla a casa tutte le sere, unita alla consapevolezza del suo amore per me e anche della sua totale dipendenza economica, a riportarmi pian piano alle antiche abitudini. Ho sempre vissuto le mie relazioni extraconiugali nella più totale indifferenza affettiva, spinto dalla curiosità e dalla vanità, e proprio per questo con la ferma convinzione che nessuna di queste storie avrebbe interferito con il mio matrimonio, la cui solidità non è mai stata per me minimamente in discussione. Sono stato attento a scegliere donne non invadenti, meglio se a loro volta impegnate, ed ho agito con estrema discrezione. Non può dunque essere stato per il sospetto delle mie insignificanti infedeltà che mia moglie nel giro di un paio d’anni arrivò a perdere interesse per gli studi, per il sottoscritto e per qualsiasi altra cosa e si chiuse in se stessa, divenendo un’ombra evanescente ed opaca.

Ne fui deluso ed infastidito, e mi ritrovai a chiedermi se non fosse stato un errore sposare una donna tanto più giovane di me: forse avevo scambiato per forza di carattere e spirito combattivo ciò che era solo l’espressione di una passeggera esuberanza giovanile.

ALICE

Franco era un uomo elegante e pieno di fascino, persuasivo e dotato di grande ascendenza, ma avrei dovuto accorgermi della sua ambizione e del suo narcisismo, che si alimentavano di un costante autocompiacimento appena dissimulato. Ebbi modo di scoprire i suoi tradimenti in maniera assolutamente casuale, come spesso succede, e da allora imparai a cogliere certi impercettibili segnali nella postura, nell’espressione del viso, nello sguardo ad un tratto sfuggente. Mi sentii offesa, ferita, denigrata. Cercai invano di convincerlo a fare un figlio che non voleva, e lessi in quel rifiuto la volontà di sottrarsi ad un legame definitivo. Incominciai ad osservarlo con un certo distacco, e compresi allora che la sua infedeltà a quanto pare congenita non era nemmeno il suo aspetto peggiore: come avevo fatto a non vedere il suo arrivismo privo di qualsiasi scrupolo, lo spregiudicato cinismo, l’ostinata vanità, come avevo potuto ignorare il suo atteggiamento di presuntuosa superiorità?

Se soltanto avessi avuto il coraggio di elaborare subito il mio fallimento e rinunciare alla rassicurazione della sua presenza nella mia vita, lasciandolo solo nel suo bell’appartamento in via della Moscova per ricominciare altrove, con coraggio e con fatica. Invece, mi lasciai scivolare in una neghittosa autocommiserazione, e nelle sempre più frequenti serate solitarie presi l’abitudine di fare il giro dei bar in Brera, celebrando ogni volta la fine di qualcosa.

FRANCO

Se soltanto mi fossi preoccupato di capire le ragioni della sua abulia, se avessi cercato di fermare la sua caduta. Ma non avevo tempo: in quel periodo avevo un obiettivo professionale da raggiungere e dovevo guardarmi le spalle da alcuni colleghi competitivi ed invidiosi. E poi, molto francamente, non ho mai sopportato i perdenti.

Qualcosa in lei cambiò quando incominciò a frequentare quel maneggio al Ronchetto delle Rane, ed io la assecondai, le regalai persino il cavallo che voleva. La vidi lentamente rifiorire, riacquistare la vivacità e l’espressione battagliera che mi avevano fatto innamorare di lei. Riprese gli studi con rinnovata energia e conseguì la laurea, ma ad un certo punto mi resi conto che mi aveva totalmente escluso dalla sua vita. Incominciammo a vivere sotto lo stesso tetto come due estranei che intrattenevano rapporti di cortese rispetto, e mi sentii dunque ampiamente autorizzato a cercare la compagnia di altre donne.

Se soltanto avessi provato a parlarle: ma in azienda c’erano in corso importanti cambiamenti ed io avevo avuto la promozione alla quale ambivo. Dovevo stare concentrato su quello, si delineavano prospettive assai interessanti che richiedevano la massima attenzione: non potevo permettermi di fermarmi per chiarire con lei quali fossero i nostri sentimenti.

E poi, non è del tutto normale che dopo dieci anni l’amore sia finito? Rimangono gli interessi e le abitudini in comune e il pensiero confortevole di una vecchiaia da trascorrere insieme, facendosi compagnia.

ALICE

Il banco del Bar Jamaica, in una serata d’autunno piovigginosa nella quale osservavo il caldo colore ambrato del bourbon nel bicchiere e pensavo a quel tubetto di barbiturici che mi aveva prescritto il medico per dormire. Trovare conforto nell’oblio del sonno, ecco. Non pensare, non sentire. Semplicemente dormire.

Fui distolta all’improvviso da un odore vagamente dolce e penetrante che non riuscivo a decifrare e che trovavo attraente e lievemente nauseante al tempo stesso. Mi accorsi che proveniva dalle due ragazze appollaiate sugli alti sgabelli alla mia sinistra: giovani e carine, indossavano jeans e giubbotti di foggia maschile ed avevano entrambe lunghi capelli biondi raccolti in una treccia. Mi misi a prestare orecchio ai loro discorsi e capii che stavano commentando con soddisfazione i risultati ottenuti da un cavallo addestrato da loro in qualche importante gara di equitazione. Notai allora il logo impresso sulla schiena dei loro giubbotti: “Rose’s Quarter Horses, Cascina delle Rose, Ronchetto delle Rane”. Cercai di immaginarmi per un attimo la vita di queste due ragazze che lavoravano con i cavalli, e fui incuriosita da queste figure femminili impegnate in una professione che immaginavo affascinante e fisicamente assai faticosa, e che di certo implicava una scelta di vita radicale e sotto un certo aspetto esclusiva. Il mattino dopo salii in auto e andai a cercare quel posto.

Con Margherita e Barbara si instaurò un immediato ed istintivo affiatamento, e non ci misero molto a convincermi a salire in sella. Imparai così a riconoscere e ad amare il caratteristico odore di scuderia che avevo sentito quella sera al Jamaica, denso, complesso e con una costante nota dolciastra.

Sono trascorsi quasi cinque anni da allora, e oggi so che aggrappandomi alla criniera di un cavallo sono riuscita a risalire la china della mia disistima. Ho smesso di preoccuparmi di cercare delle spiegazioni o di concedermi delle attenuanti, ho semplicemente tracciato una linea e sono ripartita da lì. Ho recuperato fiducia in me stessa e nelle mie capacità di giudizio, e oggi sono pronta a ricominciare con le mie forze, sulle quali ora ho la certezza di poter contare.

FRANCO

Ripenso alla nostra storia, rivedo l’espressione chiusa ed ostile di Alice nel suo periodo peggiore, quando io le ho voltato le spalle disturbato dal suo sciatto arrendersi, e poi ricordo quel mattino in cui l’ho sentita fischiare allegramente sulle scale mentre usciva, e l’ho osservata dalla finestra salire in auto con un movimento agile, rendendomi conto che avevo sbagliato a pensare che era tornata ad essere la ragazza che avevo sposato. Era una donna nuova, matura e sicura di sé, che non conoscevo affatto, come non conoscevo così bene nemmeno quella di prima.

Se soltanto mi fosse concessa una seconda possibilità.

Ora che potrei perderla mi rendo conto che tutto il resto non vale nulla, se lei non ci sarà più. Se soltanto potessi dirle che ho bisogno che lei sia al mio fianco, amica, compagna, sorella, amante. Se soltanto potessi dirle che vorrei un figlio da lei, e vorrei che avesse i suoi occhi, per vedere la bellezza che lei sa vedere, e che forse mi vorrà raccontare.

ALICE

…lo lascio andare, abbandono la mano sul suo collo caldo e chiudo gli occhi, concentrandomi sul ritmo di un potente avanzare. Sento che si sta rilassando,  è veloce e leggero al punto che pare che i piedi non tocchino terra…

Se soltanto potessi smettere di fluttuare al di fuori del mio corpo, se soltanto potessi aggrapparmi a quell’immagine e a quella sensazione di assoluta, cristallina armonia, qualcosa di simile ad una felicità primordiale, lontana da qualsiasi raffinato condizionamento dell’intelletto.

Sto percorrendo via Ripamonti e rallento ulteriormente perché la nebbia diventa sempre più impenetrabile, quando sono abbagliata dalla fredda luce bluastra dei fanali di un veicolo che avanza velocemente  dalla direzione opposta. Poi, un rumore lacerante, e subito  ho l’impressione di essere inghiottita da quella luce.

Da quel momento ho perso qualsiasi coscienza del mio corpo.

FRANCO

Non ho mai pensato alla solitudine feroce di chi trascorre il giorno di Natale in una stanza d’ospedale, a contare le mattonelle bianche sulla parete di fronte per non soffermare troppo lo sguardo su di un corpo immoto, violato da tubi e aghi e altre diavolerie, che vive solo perché lo stanno indicando una serie di numeri lampeggianti su di un monitor ed il cocciuto, vano pulsare della vena giugulare in quel punto del collo dove la pelle è morbida e bianca.

Ho vissuto questi dieci anni come se lei non ci fosse, solo perché ero certo della sua presenza. Che sciocchezza, che enorme sciocchezza. Quante cose non so di lei, che sarebbe invece stato importante sapere? Mi rendo conto con sgomento che se la perdessi ora, non avrei abbastanza ricordi, e non mi resterebbe altro che il rammarico. Se soltanto potessi tornare indietro, a quando pensavo di avere ancora un sacco di tempo.

ALICE

Svolazzo in questa singolare assenza di gravità, come un’ombra che si fosse messa a camminare sul muro smettendo di accompagnare il corpo a cui appartiene.

Se soltanto riuscissi a governare questo caos immobile nel quale si agitano scompostamente ricordi colorati ma del tutto privi di sonoro, Suor Celestina che si toglie il velo dal capo con un gesto energico e sorridente per soddisfare la mia infantile curiosità (Suora, ma lei ha i capelli come noi?), mio padre che mi accompagna all’altare con un sorriso schivo e poi rimane lì impalato e non mi lascia la mano, e ora che ci ripenso forse nemmeno io volevo lasciare la sua,  l’abbraccio profumato di saponetta della mamma quando mi rimboccava le coperte prima di dormire, lo sguardo dolce del colore della buccia delle castagne di Devil, la prima volta che l’ho visto, e la consistenza serica del suo corto pelo sotto le mie dita.

Franco non c’è già più in questi ricordi, ho rimosso molte cose dolorose e deludenti, eppure ho creduto di non poter fare a meno di lui per molti anni. Sono pronta per ricominciare, ho fretta di andarmene per ricominciare.

Se soltanto mi risvegliassi da questo strano sogno, se riuscissi a ricongiungermi con me stessa, se la mia ombra la smettesse di andarsene in giro da sola.

Se soltanto.

Se

https://youtu.be/cYkF-o3I1-U

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Pubblicato da Sonia Fantozzi

Spirito irrequieto alla costante ricerca dei perché e dei percome. Ha lasciato Milano,ma in cima a una collina ha scoperto che sarà milanese per sempre.

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