Shinzo Abe vuole un posto nella Storia, la sua politica economica è stata battezzata Abenomics (scherzosamente qui definita #AhBehNomics) e da non ha alcuna intenzione di recedere dalle sue posizioni, anche se per mantenere l’impianto del suo piano è diventato necessario riattivare le centrali nucleari disattivate dopo la tragedia di Fukushima.
L’appellattivo Abenomics nasce come richiamo della “Reaganomics“, ovvero la politica economica di Ronald Reagan, alludendo al fatto che come accadde negli anni ’80 negli USA, la nuova leadership giapponese è pronta a fare la Storia.
Tra Abenomics e Reaganomics esiste -fortissimo- un punto di contatto: dietro il vello di un approccio all’economia da titoloni a nove colonne c’è una particolare attenzione al tema Difesa e al cambiamento dei rapporti diplomatici internazionali.
Le similitudini non finiscono qui: l’indirizzo politico della Banca centrale fu molto marcato, come banchiere centrale Reagan volle Paul Volcker, che ai tempi era sottosegretario agli Affari Internazionali al dipartimento del Tesoro e (da Wikipedia)
“Ha svolto un ruolo importante nelle decisioni che circondano la decisione degli Stati Uniti di sospendere la convertibilità dell’oro nel 1971, che hanno provocato il crollo del sistema di Bretton Woods“
Il banchiere centrale scelto da Abe è Kuroda, vice ministro agli Affari Internazionali nel Ministero delle Finanze…
Ma esistono anche delle differenze da antipodi: Reagan dovette affrontare problemi legati alle pressioni inflazionistiche, Abe invece lotta contro la deflazione, frutto dello scoppio della bolla immobiliare e finanziaria degli anni ’80. Mentre Reagan puntava a snellire lo Stato attraverso la deregulation ed i tagli fiscali, Abe estende l’ingerenza dello Stato nell’economia, mettendo in discussione l’indipendenza della Banca Centrale.
Volcker mise in atto una politica monetaria molto restrittiva, finalizzata al rafforzamento del dollaro, Kuroda invece applica la politica ultra-accomodante che serve a far svalutare lo yen. I risultati? Quelli di Kuroda sono così-così:
BoJ taglia (ancora) le stime su export. La speranza che la domanda estera aiuti la crescita del Paese sta svanendo. #AhBehNomics
— Andrea Boda (@AndreaBoda) 8 Agosto 2014
BoJ evidenzia debolezza nel trend d produzione industriale: l’impatto negativo del rialzo IVA sarebbe maggiore del previsto #AhBehNomics
— Andrea Boda (@AndreaBoda) 8 Agosto 2014
C’è un motivo se le politiche restrittive hanno una efficacia maggiore nel raggiungere i propri obiettivi rispetto a quelle accomodanti: introdurre inflazione, svalutare la propria moneta, sono azioni che richiedono il supporto delle tue controparti, con buona pace di chi li vede come strumenti per riconquistare una maggior sovranità nazionale. Se gli USA si “difendessero” dagli interventi della BoJ potrebbero vanificarne gli effetti (lasciando intatte le controindicazioni). Le politiche monetarie ultra-espansive comportano dunque una sorta di dipendenza dall’approvazione esterna.
La coincidenza di tempi fra virata di politica monetaria ed attuazione della Trans-Pacific Partership è più di un indizio (considerata soprattutto la forte opposizione interna che il Giappone ha dovuto fronteggiare sull’argomento).
Sarà molto importante, per il Giappone, vedere quale sarà la politica estera americana dopo Obama, perché l’argomento si rivelerà cruciale per raggiungere i suoi scopi. Nel frattempo la politica monetaria espansiva della BoJ aiuterà a stabilizzare il mercato dei Treasury americani, che tra tapering e inasprimento della politica monetaria USA sono fonte di preoccupazione.
E’ all’interno di questo quadro che va vista anche la riforma dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, quella imposta dopo la Seconda Guerra Mondiale e che vietava al Giappone di dotarsi di un esercito. La forte opposizione interna anche in questo caso non ha fermato il governo del Sol Levante.
La Costituzione recita:
“Per conseguire l’obiettivo proclamato nel comma precedente [l’aspirazione alla pace ed il ripudio della guerra ndr], non saranno mantenute forze di terra, di mare e dell’aria e altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello stato non sarà riconosciuto”
Così il governo Abe ha introdotto le “Forze di autodifesa” (come se bastasse non chiamarlo “esercito”) con lo scopo di proteggere il paese in caso di minaccia all’ordine e alla stabilità, oppure come sostegno militare in caso di attacco agli alleati da parte di un nemico comune.
Insomma, prosaicamente, il Giappone è ora disponibile come cuscinetto militare tra Cina, Corea del Nord e Stati Uniti. Partisse un missile da Pyongyang ora si è messo nelle condizioni di poterlo intercettare, senza doverne essere necessariamente l’obiettivo.
Obama ha applaudito, e finora nessun ostacolo è stato posto dalle istituzioni a stelle e strisce all’Abenomics, che finora -a dispetto della fanfara degli osservatori economici- è stato obliquamente uno strumento di politica estera, mirato a raggiungere un diverso ruolo nello scacchiere geopolitico. Una questione di sicurezza nazionale, e certamente non uno scoop: Shinzo Abe ha scritto nel 2006, ben prima di diventare premier, un libro “Atarashii kuni e: Utsukushi kuni e kanzenban.” (Verso una Nazione meravigliosa: la mia visione per il Giappone) in cui rivela chiaramente come la ripresa economica e la sconfitta della deflazione sono solo obiettivi intermedi e strumentali.

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Leggo con ritardo (di cui mi scuso) perché sono in ferie. Articolo interessante. E altrettanto interessante sarà vedere come la politica muscolare di Abe risponderà alla crescente aggressività cinese, che punta sul nazionalismo per mettere a tacere i problemi economico-sociali interni, che generano contestazioni…