Rottamare il Berlusconi Tailandese

Nella divulgazione economica, la Tailandia è stata etichettata come uno dei“tigrotti” asiatici. Era parte integrante della rinascita dell’Estremo Oriente, ma non aveva raggiunto i sorprendenti successi delle 4 vere tigri: Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong. Singapore. Aveva comunque in larga parte sconfitto il sottosviluppo e si avviava a diventare l’ennesimo successo asiatico. L’equilibrio tra le sue componenti era un asset importante, per un paese di 68 milioni abitanti su 500.000kmq. La terra è generosa, i mari pescosi, la popolazione laboriosa. Il paese è diversificato e unico, così che il turismo rappresenta una delle fonti maggiori di reddito. Milioni di visitatori sono attratti dalle bellezze del luogo, dal sole perenne, dal clima mite.

Non a caso, la Tailandia vanta la seconda economia dell’Asean (dopo la ben più popolosa Indonesia) e nella classifica per il reddito pro capite a parità di potere d’acquisto è inferiore soltanto alla Malaysia e alle piccole realtà di Singapore e Brunei. La struttura economica è basata sull’industria di trasformazione e sull’agricoltura. Entrambe sono orientate all’export, con punte di eccellenza nell’elettronica, nella componentistica e nell’automotive. È una posizione di prestigio per un’area spesso dedita alle sole esportazioni di materie prime. La costruzione di un’industria nazionale deriva anche dall’avere evitato la colonizzazione (unica nazione tra le 10 dell’Asean) e di aver al contempo attratto le multinazionali con un clima particolarmente business friendly.

Questa marcia sostenuta e puntuale verso un migliore livello di benessere si è interrotta da quando il paese è bloccato dall’avvento al potere di Thaksin Shinawatra, della sua famiglia e dei suoi interessi. Il Tycoon di Chiang Mai ha dominato la scena politica fin dal 2001, quando ha vinto le elezioni ed è stato nominato Primo Ministro. Le tornate elettorali lo hanno visto sempre primeggiare, sia con il suo partito, sia con quello guidato dalla sorella Yingluck. Tuttavia le sue vittorie sono state messe in discussione dall’opposizione per pesanti irregolarità che hanno investito i suoi affari e le nomine di persone vicine ad incarichi istituzionali. I partiti antagonisti non sono mai riusciti a creare una piattaforma valida in grado di sconfiggere il programma populista dei Thaksin. La famiglia trova un immenso serbatoio elettorale nelle campagne, alle quali concede sussidi per l’energia e i medicinali, prezzi più alti per i loro prodotti. L’élite di Bangkok, le industrie, la finanza, il movimento democratico vedono la famiglia Shinawatra come un ostacolo allo sviluppo del paese, un passo indietro rispetto alla modernizzazione. Protestano, ma non sono in grado di vincere le elezioni. A rimuovere Thaksin pensa dunque l’esercito, in uno dei consueti colpi di stato militari del paese. Il primo ha avuto luogo nel 2006 (quando Thaksin è stato costretto all’esilio), il secondo nel 2014 quando Yingluck è stata deposta. La sua rimozione ha preceduto l’incriminazione dalla magistratura per aver falsato lo schema di sostegno per la produzione di riso.

Indipendentemente dalla conferma delle accuse e dalla regolarità delle elezioni, va rilevato che la Tailandia è da anni un paese praticamente bloccato. L’alternanza dei governi civili e militari impedisce l’adozione di riforme, le continue sommosse scoraggiano gli investimenti, gli scontri tra le opposte fazioni deprimono il turismo, l’instabilità non favorisce il dinamismo sociale. L’economia arranca in una regione al contrario tra le più dinamiche del mondo. Sarà la giustizia a stabilire se i Thaksin siano effettivamente colpevoli; le ambizioni dell’economia hanno invece bisogno subito di un clima più sereno, dove l’intera vicenda dei Thaksin sia al più presto dimenticata e il paese possa riprendere la su marcia per imporsi globalmente ed eliminare tutte le sacche di povertà.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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