Sole, Mare e Medici nel Sud-Est-Asiatico

Non è solo il reddito a causare la qualità della vita; non è solo la produzione a spingere la crescita di un paese. La mia esperienza nel sud-est asiatico ha imposto valutazioni diverse, non opposte ma complementari. L’intero settore medico – ospedalizzazione, trattamento, interventi – è cresciuto n maniera spettacolare, provocando reddito, occupazione e soddisfazione dei pazienti. A Singapore sono uscito da una fastidiosa patologia che mi tormentava da anni. Dopo anni di ricerche e di visite specialistiche inutili a e costose, a Singapore hanno trovato l’origine del mio problema, l’hanno curato velocemente e ora sono estraneo ai disturbi.

I medici sono stati molto competenti, le infermiere gentili, l’ospedale pulito, i macchinari modernissimi, L’organizzazione è stata perfetta: non ci sono state lunghe attese o degenze inutili per analisi già conosciute. È prevalsa la razionalità: il tempo è una risorsa, ogni lungaggine costa. Non ha nessun senso – né economico, né sociale – tenere i pazienti in corsia. I costi per loro o per la collettività sono immani.

Basta vedere il budget della sanità italiana, anche senza voler analizzare la qualità del servizio. Si potrebbe obiettare: Singapore è un’eccezione. È troppo ricca, piccola, controllabile per essere un paragone. Le sue eccellenze, è innegabile, sono il frutto di circostanze uniche e probabilmente irripetibili. Anche la Tailandia, per rimanere nel sud est asiatico, offre soluzioni ancora più convenienti, Gli ospedali e i medici  – che hanno spesso studiato in America o in Europa – sono validi ma i prezzi sono decisamente più bassi rispetto alla città-stato.

È dunque molto alto il numero dei medical tourist. Se a Singapore sono stati 600.000 nel 2014, la Tailandia ne ha accolti  più del doppio, cioè 1.400.000. È tipico il caso di chi si reca a Bangkok, si cura i denti, effettua un elettrocardiogramma, spende in shopping e conclude con una settimana al mare a Phuket.  È un modo di arricchire e diversificare il turismo, che da solo contribuisce al 10% del Pil tailandese, con 25.000.000 di arrivi all’anno. Ne rappresenta la componente più delicata perché sottoposta a variabili incontrollate. La situazione politica rimane incerta, dopo l’ennesimo colpo di stato. Gli investitori internazionali, vitali per rilanciare l’economia manifatturiera, sono ancora timidi per la saga della famiglia Thaksin. I militari garantiscono il controllo ma non lo sviluppo, Il paese ondeggia tra il tradizionale schieramento filo statunitense e la tentazione di cedere alle lusinghe della Cina.

L’economia si muove lentamente e il turismo rimane un asset da salvaguardare. Arrivano charter aziendali con pazienti delle classi medie europee, poveri dai villaggi asiatici, nascenti borghesie dal Medio Oriente. Portano con sé speranze e carte di credito. Un Omanita di 75 anni, in arrivo per curarsi, ha ironicamente avuto bisogno di terapia. È stato il primo caso in Tailandia di Mers, la sindrome respiratoria del Middle East.  La nuova epidemia respiratoria sta diffondendo paure e vittime in Asia (soprattutto in Corea del Sud), ma in Tailandia non ha creato alcun allarme. Il paziente è stato isolato e curato, non c’è stato nessun panico tra la popolazione. I turisti continuano ad atterrare perché il paese, pur nelle sue difficoltà contingenti, sa che può crescere se offre e mantiene sicurezza, bellezza ed efficienza. Tutto a bassi costi.

L’immagine in testata è © pcruciatti / Shutterstock.com

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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