Startup e (dis) Incentivi

Premessa: per liberarmi dalla nevrosi dei numeri, ho deciso di scrivere senza mostrare nemmeno un dato. Mi rimetto alla clemenza di chi legge, ma è un tema di salute.

Una discussione su twitter sulle detrazioni fiscali per chi investe in start up innovative mi ha fatto riflettere, ed è una buona occasione per raccogliere alcune riflessioni.

Quale è l’obiettivo di un incentivo fiscale? Discorso facile facile… no?

Ci torno dopo, ma adesso ho bisogno di una breve premessa sul processo decisionale del venture.

Insomma, come dicevamo in un vecchio post, il consenso è unanime sul fatto che la migliore strategia di investimento per un VC sia quella di cercare i 100x.

La ragione è abbastanza semplice ed intuitiva.

In estrema sintesi, e con qualche approssimazione:

  • chiunque costruisca un portafoglio, questo avrà una distribuzione di successi/fallimenti che segue power law;
  • selezionando target con potenziali inferiori (5/10x), costruisci un portafoglio dove ciascun investimento ha un cap in termini di potenziale
  • quindi il picco dei successi avrà probabilmente un cap, e difficilmente potrà riuscire a compensare la perdita sul resto del portafoglio.

Senza potenziali 100x, il risultato atteso ha un rendimento totale inferiore.

Ed il mercato italiano non sembra avere ancora i volumi per permettere di operare in modo efficiente.

Un fondo (o in generale un investitore con un portafoglio) ha bisogno di cercare, e trovare, iniziative ad alto potenziale.

Queste poi non si autoalimentano, ma vanno costruite, e ci si riesce se (“se” necessario ma non sufficiente) il modello permette di contare su una forte optionality.

  • Non si crede ad un P&L a 3/5 anni di una start up. Si crede in un prodotto, in un mercato di riferimento, un business model per catturarlo, un team per eseguirlo con un piano di attività solido con una stima di burnrate affidabile.
  • Il mercato ed il modello di business si influenzano reciprocamente, sono impattati dalla competizione, e su nuovi prodotti l’adoption non è scontata, vanno testati. 
  • E così come su una scacchiera, un primo passo ne può aprire tanti altri, si può cambiare strada, e si può aggiustare il prodotto ed il modello: è evidente che più è ampio lo spettro delle opzioni percorribili più chances si hanno di trovare la chiave dell’acqua, ed avere successo.

Ma torniamo al punto: ha senso uno sgravio fiscale per chi investe in Start up Innovative?

In maniera intuitiva si può dire che è una buona cosa, certamente.

Ma provando a riflettere meglio ci si rende conto di alcuni aspetti:

  • l’effetto di questo sgravio è piccolo, proporzionale all’investimento;
  • non tiene conto del successo dell’iniziativa, arriva comunque;
  • inoltre arriva subito, all’inizio del ciclo di vita di un investimento, che mediamente vale 3/5 anni;

Insomma è un meccanismo che riduce il rischio di chi mette soldi.

In termini di distribuzione power law di successi/perdite sul portafoglio, quanto vale questo meccanismo sui vari casi di un portafoglio?

  • è un valore infinitesimale per i successi
  • è di valore elevato sulle perdite

Questo meccanismo quindi ha un qualche valore esclusivamente come CAP sulle perdite.

Quindi per far crescere un mercato piccolo, immaturo, che costruisce portafogli con basso potenziale, per i quali è facile prevedere non si avranno casi di successo di una certa rilevanza, preferiamo ridurre il rischio all’ingresso (e penalizzare l’uscita).

Sembra un incentivo al piattume piuttosto che al successo.

..la solita avversione al rischio, ma cosa ci aspettiamo, vogliamo fare innovazione con debito sulle PMI innovative, coprendo rischio bancario con fondi di garanzia.. sembra folle..

E’ chiaro che questo tipo di incentivi non stimolano in nessun modo la ricerca dei 100x.

Quindi non succederanno, ed il mercato difficilmente avrà quell’accelerazione che serve: l’italietta di piccole belle idee, che rendono qualche quattrino grazie a qualche operazione di M&A, nei casi più fortunati.

Perdonatemi, chiaro che sto stressando molto il punto, ma la nostra tendenza al piccolo e sicuro mi fa venire una certa tristezza… sembrano i venti euro della nonna allungati al nipotino sotto al tavolo …

Chiaramente lecito chiedersi, ma chi stiamo incentivando?

La risposta è semplice: non un investitore in venture capital.

Un investitore non decide di mettere soldi in un deal per uno sgravio fiscale da 100k oggi, ma decide perché pensa di fare 100m fra 3/5 anni.

Volete dare uno sconto fiscale? Datelo sul successo, sull’exit da 1bn, non sui 100k Seed.

Incentivando i successi, le exit, e i giocatori veri iniziano a sedersi al tavolo, quelli bravi, che portano soldi, competenze, influenza internazionale, capacità di scale up, quelli che forse hanno qualche possibilità di far circolare ricchezza nel nostro amato paese.

..purtroppo mi pare stiamo andando nella direzione opposta; sembriamo quelli che per far crescere demograficamente il paese con alta mortalità infantile, incentiviamo le nascite senza investire in sanità.

E se non si può lavorare su exit, quindi numeri più grandi (vien da dire che oggi sono numeri piccoli a piacere, quindi la dimensione è puramente “aspirazionale”) almeno focalizziamo quei tanti problemi sul ciclo di vita dell’impresa, i “vincoli esterni” che dovremmo avere come priorità assoluta.

Vincoli esterni: burocrazia asfissiante che inventa percorsi ad ostacoli di ogni genere, nella totale impossibilità di pianificazione amministrativa, fiscale e normativa in generale.

Sulla composizione del target nella selezione del portafoglio, mi hanno spiegato in termini più tecnici che la distribuzione da noi è “meno grassa” rispetto ad altri mercati, con l’effetto di comprimere la probabilità di successo, e questo principalmente a causa di questivincoli esterni”.

E oltre alle nostre pecche, ci sono temi strutturali su cui questi vanno a sovrapporsi: la dimensione del target Italia è di per se un vincolo.

  • Se non ben pensato in partenza, il business model di una start up che deve muovere primi passi in Italia può nascere con i peccati originali del nostro paese: dimensione, demografia, lingua, abitudini, normativa, etc.
  • Per fare un esempio semplificativo, cercare disruption in un mercato particolarmente regolato solo in Italia non permette di contare su espansione internazionale, il contesto può azzerare il valore del modello, quindi nessuna optionality.

Ma torniamo al tema degli incentivi.

A valle del ragionamento il meccanismo dello sconto fiscale per chi investe in startup sembra venire meno al presupposto principale del gioco, ovvero incentivare il successo domani, e lo fa creando un vantaggio al commercialista oggi.

Ma l’incentivo costa, e sono risorse preziose; è lecito chiedersi se non fosse meglio spenderle diversamente, per provare a ridurre quei “vincoli esterni” che rendono difficilissimo operare nel nostro mercato.

Rendiamo semplice agire, sbagliare e rialzarsi.

Comunque devo dire qualcosa si sta muovendo, ed è chiaro che da qualche parte bisogna partire (chi non fa non sbaglia); ma il mio scopo è cercare di riflettere per l’utilità di lungo termine.

E se ipotizziamo che l’obiettivo dell’incentivo sia di far crescere il mercato del venture e dell’innovazione in modo stabile, viene il dubbio che questa sia la giusta soluzione.

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Pubblicato da Peppe Tomei

Pragmatico pontificatore e battutista seriale, innovatore di mestiere e di passione; sopravvissuto alla bolla del '00 mentre esplorava California ed Israele, dopo qualche tempo nel Private Equity nostrano decide di rimettersi in gioco nel mondo Corporate, per coltivare il gusto del "fare", atterrando in modo stabile a Milano.

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