«La disuguaglianza non è connaturata al Capitalismo ma dipende dalle politiche che si decide di adottare»
ne è convinto Joseph Stiglitz, intervenuto venerdì 29 maggio al Festival dell’Economia di Trento, giunto quest’anno alla decima edizione, dedicata alla mobilità sociale e alle disuguaglianze dinamiche.
L’economista americano, premio Nobel nel 2011 per la sua teoria sulle asimmetrie informative nei mercati finanziari, offre dunque una lettura diversa sugli attuali squilibri economici rispetto a quella di Thomas Piketty:
«Secondo lui l’età dell’oro del Capitalismo, dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio degli agli anni Ottanta, ha coinciso con la sua aberrazione, perché quel periodo è stato caratterizzato da un livello di solidarietà tra gli uomini, perfino tra gli americani, eccessivo per un sistema economico di questo tipo. Io invece ritengo che la colpa dell’aumento delle disuguaglianze sia dovuta alle scelte politiche adottate negli ultimi trent’anni. Reagan ha detto agli americani:
“Abbasserò le aliquote fiscali ai più ricchi. Aumenteranno le disuguaglianze, ma starete tutti un po’ meglio, ciascuno si prenderà la sua fetta di benessere perché la torta sarà più grande”.
Aveva ragione solo su un punto: le disuguaglianze sono aumentate, più di quanto si aspettasse. Ma la crescita è rallentata».
Secondo Stiglitz «la prova che le disuguaglianze non dipendono dal Capitalismo ma dalle politiche che si adottano è che fattori come la globalizzazione o la tecnologia incidono in modo analogo sui Paesi appartenenti ad uno stesso sistema economico, ma producono effetti molto diversi in termini di squilibri interni».
Dunque non c’è alternativa: «Bisogna riscrivere le regole che hanno permesso all’1% degli americani di vedere il loro patrimonio quadruplicato negli ultimi 25 anni e il reddito del 90% della popolazione fermo o addirittura calato. La politica fiscale, gli investimenti, il quadro giuridico, le istituzioni, le scelte di politica monetaria… tutto può contribuire a ridurre le disuguaglianze. Non sarebbe stato meglio, ad esempio distribuire denaro ai milioni di americani che non riescono a pagare il mutuo anziché iniettare liquidità nelle banche facendo salire il valore delle loro azioni? Il QE, riducendo i rendimenti dei titoli di Stato, non fa che arricchire chi ha grandi patrimoni finanziari e impoverire i piccoli risparmiatori che non possono più contare neanche su questa rendita».
Ammettiamo che Stiglitz abbia ragione, che basti riscrivere le regole per costruire una società con meno squilibri, ma chi dovrebbe farlo?
Se non lo si è fatto negli anni Novanta, quando l’economia andava bene e la politica contava ancora qualcosa, come si può pensare di farlo oggi che i veri decisori sono i banchieri centrali? Con la politica che ha ormai abdicato in favore della finanza, essenzialmente perché incapace di governare un mondo divenuto troppo complesso, come si può pensare che un gruppo sociale si autoelimini o che riduca il proprio potere?
E’ lo stesso Stiglitz a riconoscere che Obama ha deluso le aspettative degli americani: «Si è presentato come l’uomo del cambiamento e poi ha ingaggiato gli stessi consiglieri che hanno causato la crisi. D’accordo con la Fed sta attuando questa trickle-down economics che sta favorendo la crescita solo in piccolissima parte, tanto che il Pil americano si sta nuovamente fermando».
Le regole dovrebbe riscriverle Tsipras, presentatosi come paladino dell’antiausterità e ora ridotto sostanzialmente a curatore fallimentare? Dovrebbe riscriverle la Merkel che dopo tutto, diciamoci la verità, ha fatto solo gli interessi del suo Paese, e ha ormai mollato lo scettro nelle mani di Schauble?
Le regole dovrebbe riscriverle la Cina, che nonostante il suo rapido sviluppo non conosce ancora (qualcuno potrebbe dire per sua fortuna) la democrazia? Dovrebbe riscriverle la Russia di Putin, il Medio Oriente in mano all’Isis, l’Onu che non riesce o non vuole intervenire per fermarne l’avanzata, o le istituzioni europee che non riescono nemmeno a mettersi d’accordo su chi deve prendersi qualche migliaio di profughi?
Sarà forse un caso che a capo della Commissione europea non è finito un politico qualunque ma l’uomo che per 18 anni ha governato uno Stato dalle regole fiscali alquanto opache e nel quale ha sede la stragrande maggioranza dei fondi?
«I Paesi col minor tasso di disuguaglianza e il maggior livello di opportunità – ha ricordato Stiglitz – sono quelli scandinavi, primo fra tutti la Danimarca». Sarà sempre per il solito ritornello che “lì sono pochi” o perché hanno istituzioni democratiche che funzionano?
Ovunque ci voltiamo, assistiamo ad uno sfarinamento della politica per come l’abbiamo conosciuta dalla Rivoluzione francese in poi. E allora, caro Stiglitz, siamo d’accordo che il problema sono le regole del gioco, ma chi può riscriverle oggi in questo mondo?
Mi sorprende che Stiglitz non si ponga il problema che finanziare direttamente i creditori morosi implichi un moral hazard , nel senso che ULTERIORMENTE deresponsabilizza le banche commerciali a fare un adeguato screening del merito creditizio dei propri clienti.
O le varie Fed devono diventare degli iffici concessione crediti retail e corporate?
Quindi non si possono riscrivere le regole perché la politica si è sfarinata e a capo della Commissione Europea ci sta Juncker che vien dal Lussemburgo opaco?
Bizzarro punto di vista. Cosa ci costringe? No perché si è visto di peggio che una politica sfarinata e opaca, si è vista in passato una politica sanguinaria e oppressiva e lo stesso a sprezzo del pericolo le regole sono state riscritte e gli oppressori cacciati e giustiziati.
L’accentramento mostruoso della ricchezza in poche mani è puro orrore. O lo si capisce con le buone o lo si capirà con le cattive. Stiglitz uber alles!