Descrivere l’andamento degli indici azionari, dei tassi di interesse e tassi di cambio, facendo inferenza sul futuro è sempre stato molto complesso. In pratica ci si immagina come potranno essere i mercati di domani, guardando i mercati di oggi (prezzi), cercando di comprenderne l’andamento in relazione ai fondamentali. Si entra nel mondo dell’incerto, del non osservabile, quello delle potenziali bolle speculative e delle crisi finanziarie (e degli errori di politica monetaria). Ricordo l’incipit di un recente articolo sull’argomento:
“Financial bubbles are subject to debate and controversy. However, they are not well understood and are hardly ever characterised specifically, especially ex ante”.
In generale, le bolle finanziarie sono delle deviazioni persistenti dai fondamentali caratterizzate da un errata aspettativa degli operatori di mercato. Questa semplice definizione si scontra con l’assoluta inutilità della stessa. Infatti, è impossibile identificare una bolla essenzialmente per tre motivi:
- Incerti i fondamentali ed i modelli da applicare
- Incerta la metrica delle deviazioni dai fondamentali
- Incerta la valutazione ex-ante delle aspettative di mercato
L’insostenibilità di un movimento di mercato, per quanto irregolare o certe volte esponenziale, deve essere definita in uno spazio che ha diverse dimensioni. Non basta mostrare un comportamento esponenziale per suggerire un andamento irrazionale deducendone che inevitabilmente si tradurrà in una crisi finanziaria.
Nella pratica l’andamento dei prezzi nei mercati azionari, obbligazionari e materie prime mostrano dei comportamenti inspiegabili molto più spesso di quanto non si possa pensare, senza con questo creare delle bolle speculative o delle crisi finanziare. Non escludo che l’economia capitalistica abbia insito un concetto di instabilità (ndr Minsky “Financial Instability Hypotesis”) come strumento di autocorrezione, ma allo stesso tempo appare sempre più pressante comprendere la differenza fra “fluttuazioni” dei prezzi degli assets e “irrazionalità” che porta a bolle speculative potenzialmente devastanti per l’economia reale.
Ci sono diversi approcci a riguardo, ma di fatto possono essere ricondotti a due metodi: 1) movimento dei prezzi 2) focus sui fondamentali. Nel primo caso, o approccio puramente statistico, ci si concentra su comportamenti anomali della serie dei prezzi paragonandolo alla prospettiva storica. Si considera una bolla un tasso di crescita dei prezzi superiore a quello di una funzione esponenziale. In questi casi si familiarizza con il concetto di probabilità o rischi di correzione dato un comportamento.
Diverso è il secondo caso o approccio strutturale: i comportamenti di alcuni prezzi di mercato a prima vista non irrazionali possono nascondere delle profonde differenze rispetto ai fondamentali. In questi casi è necessario dotarsi di una “rappresentazione della realtà” che descriva i fondamentali economici. Per esempio: sull’azionario le versioni uniperiodali o multiperiodali di un Dividend Discount Model o di un qualsiasi altro modello legato alla dinamica dei utili/profitti capitalizzati; sull’obbligazionario un modello legato alle componenti di lungo periodo dei tassi, vale a dire componente reale del tasso più inflazione. In entrambi i casi l’Equity Risk Premium e il Bond Premium a volte mostrano fluttuazioni talmente elevate da evocare una “bolla” anche quando non è appropriato. In questi casi si presenta la sindrome del pastorello che grida “al lupo! al lupo!”: si individuano molte più bolle di quante non ce ne siano effettivamente, laddove invece si cela incapacità o mancanza di informazioni.
Un esempio viene dai mercati obbligazionari: da un lato non stiamo osservando dei comportamenti irrazionali, ma le continue chiamate a eccessive sopravvalutazioni di questa asset class creano assuefazione agli allarmismi al punto che i “bond vigilantes” ormai sembrano avere le armi spuntate. Tale compiacenza sul mercato, specchio di una potenziale mis-allocazione del capitale, non può che creare future dislocazioni dei mercati e quindi ondate di risk aversion con potenziali effetti sull’economia reale (provate ad immaginare quando Blackrock e Pimco dovranno coprire o ridurre l’esposizione al rischio tasso di interesse).
In definitiva, non esiste un metodo appropriato e certo per identificare una bolla speculativa e quindi la crisi che ne segue. Questo lo dico da investitore, non da blogger/reporter/economista: chi scrive dell’arrivo delle bolle e di crisi anni o decenni prima non ha alcuna percezione di quanto sia inutile la sua indicazione. Ciò perché chi deve prendere delle decisioni nel continuo -investitori o policy makers– non può considerare solo l’evento estremo, ma tutti i possibili eventi in funzione di un set informativo a disposizione. Insomma, non si può e non si deve lasciare al caso: la scelta per quanto incerta, deve essere consapevole.
Se non è possibile individuarle forse dovremo evitare il sorgere di tali eccessi. Di recente stanno prendendo piede le politiche “macroprudenziali” ovvero tutta la serie di interventi di Regulation e Supervision che dovrebbero limitare l’insorgere delle bolle. Tuttavia queste nuove misure non sono la panacea. Da una ricerca BCE sulle le politiche macroprudenziali:
“they contribute superficially to suppressing equity price bubbles, but show a very disappointing record of fighting other credit excess phenomena such as default probabilities“
Insomma, sia politica monetaria sia politiche macroprudenziali risultano insufficienti nell’evitare bolle speculative e crisi finanziarie. Un esempio pratico può essere l’andamento del mercato immobiliare in UK e l’utilizzo di limitazioni derivanti da procedure di stress test sul servizio del debito e non attraverso i tassi di interessi attuali praticati dalla banca centrale inglese (qui un approfondimento a riguardo).
Anche se le politiche macroprudenziali sono un’altra arma spuntata per limitare l’insorgere delle crisi, possono essere usate per aumentare la resistenza alle crisi del sistema economico e finanziari. In pratica oltre alla regolamentazione ed al controllo, si sta andando verso la costruzione di cuscinetti di protezione ex-ante per limitare gli effetti delle crisi finanziare sull’economia reale. Quindi maggiore regolamentazione, maggiore supervisione, maggiori accantonamenti (es. ricapitalizzazione delle banche, fondo di risoluzione delle banche SRM, fondo salvastati ESM). Ogni intervento però si porta in dote una forma di restrizione delle condizioni finanziarie attuali: si paga qualcosa oggi, direttamente o indirettamente, per proteggersi da eventi incerti o estremi nel futuro.
Concludo con una riflessione e una domanda: sappiamo che esiste una politica monetaria ottima con tutti i pro e contro; invece non abbiamo idea di quale sia il livello ottimale di regolamentazione e supervisione che consenta una crescita sostenibile dell’economia e del benessere sociale. Quindi, qual è dunque la combinazione ottima fra politica monetaria e politiche macroprudenziali?
Molto intressante.
Cerco di rispondere alla domanda dal punto di vista di uno “statista”.
Il livello ottimale di regolamentazione è quello che permette allo Stato di non essere “ricattabile” dal privato.
Teoria ma si fa anche molto poco per applicarla.
Guardando all’Italia tra debito pubblico non sotto controllo e investitori tbtf siamo già…oltre.
Sinbad
Grazie mille del commento, mi sembra un ottimo spunto… rigiro la domanda: ma è il privato che ricatta il pubblico o viceversa? in Italia propendo per il “viceversa”.
Buon articolo, mi permetto anche io uno spunto ma da grande profano di finanza e investimenti che ammetto non sono il mio forte.
Fra i due approcci x distinguere fra fluttuazioni e irrazionalità ne agguingerei un terzo, la verifica dei “bilanci” dei maggiori investitori sul mercato, quelli perr intenderci “che fanno il prezzo”: anche tu ne accenni brevemente indicando blackrock e pimco, quando questi avranno fatto i loro conti e individuato un tradeoff ottimale fra costi e perdite da sostenere e tempistiche di uscita, la bolla scoppierà.
Un approccio contabilistico, tanto lo sappiamo che la favoletta dei mercati efficenti e composti da n operatori piccoli piccoli era buona per i corsi universitari, così come Mandelbrot ha ben dimostrato la leptocurtosi della curva di diatribuzione deimrwndimenti, uccidendo i modelli basati su distribuzioni normali, i.e. la probabilità di eventi estremi è più alta di quanto i modelli classsici vogliano far credere e possano calcolare.
Sgombrando il campo dagli equivoci, la Sicurezza è un bisogno primario che solo lo Stato (o una organizzazione equivalente) può farsi carico.
Il cittadino tiene così tanto alla sua sicurezza che lo ritiene un bene superiore alla libertà (considerazione non tanto ovvia considerati gli errori che si continuano a fare, specie in politica estera).
Il privato, volendo il banchiere o l’industriale, in sé non garantisce questo bene primario.
Questo lo pone su un livello subalterno rispetto all’organizzazione statale.
La Storia è piena di esempi di banchieri potentissimi, più ricchi dei re (templari, medici,…) ma che hanno capitolato allorché lo Stato ha riscoperto che poteva essere “sovrano”.
Che io sappia, l’unico esempio resiliente è quello della famiglia Rothschild che, secondo me, intuì bene la necessità di giocare su più tavoli per essere resiliente (sopra si faceva accenno a Mandelbrot…sarebbe interessante approndire il tema della massimizzazione del profitto e dell’efficientismo che rende fragili i sistemi e li fa tendere alla creazione continua di bolle…strategia ben diversa da certe società tradizionali dove i contadini seminavano più orti sparsi, meno produttivi ma capaci di rendere le famiglie più resistenti ai periodi di magra e agli eventi estremi…).
I nostri tempi vedono l’insorgere di organizzazioni sovranazionali che tendono a by-passare lo Stato.
A me sembrano delle oligarchie, con un tasso di democrazia nullo e che, soprattutto, dimenticano la tutela della sicurezza a favore dello status quo.
Per esempio, come ho già scritto in un commento precedente, l’Europa ha fatto la moneta prima della Difesa.
Occhio! Perché il tema della sicurezza del cittadino, benche’ misconosciuto, è sempre latente e, prima o poi, c’è sempre qualcuno che se ne fa campione, nel bene o nel male.
Per questo motivo, sostengo la preminenza dello Stato sul privato; ovviamente la sua conduzione dovrebbe tendere a quella “del buon padre di famiglia”, smussando le eccessive concentrazioni di potere.
Sia chiaro! Benché importante, sto comunque facendo pura teoria. Declinare tutto ciò nella pratica è forse pia illusione.
Ma sono convinto che, prima o poi, uno come Filippo il Bello si ricorderà che comunque il sovrano è lui.
Sinbad
Intervengo nella discussione per dire che probabilmente al giorno d’oggi le politiche macroprudentiali sono sub-ottimali perché in genere rispondono a delle richieste di natura politica e non economica. Allo stesso tempo, l’interazione fra politiche macropru e politica monetaria tradizionale è tutta da scoprire. Le dichiarazioni di Ms Yellen a riguardo sono state interpretate in maniera dovish, come se le aspettative degli operatori “informati e professionali” si stessero posizionano in un profilo di tassi futuro più basso. E qui sorge un’altra domanda: ma i tassi in futuro saranno più bassi perché le politiche macropru riducono la crescita potenziale o perché la Fed sarà meno tight, ceteris paribus? Altro dubbio amletico…