Pechino ha deciso che non si può scalare The Great Firewall. La barriera posta a protezione del paese è sacra e inviolabile; non può essere perforata, scavalcata, ignorata. È questo il senso dell’imprevisto e clamoroso divieto di impiego nel paese delle VPN, Virtual Private Network. Sono state dunque proibite le connessioni private – a pagamento ma economiche – che consentivano di visitare i siti più famosi o di intrattenere le comunicazioni con i social media.
Attraverso l’uso di una rete internet allargata, si poteva accedere a Google, Facebook, Twitter e al New York Times, la cui consultazione non è consentita in Cina. I VPN erano una forma di business sicura ed economica per molte piccole e medie aziende. Rappresentavano inoltre la miglior fonte di informazione per gli stranieri, i cinesi che hanno avuto contatti con l’estero, le persone intellettualmente curiose. Rappresentano insieme una piccola minoranza rispetto ai 650 milioni di utenti di internet, che tradizionalmente preferiscono i siti e le comunicazioni personali in cinese. Il governo è dunque intervenuto per bloccare la zona grigia che consente di accedere ai siti proibiti, un segreto conosciuto e finora tollerato. Senza possibilità di equivoco, un portavoce ministeriale ha affermato che
“le leggi che regolano l’uso di internet in Cina vanno rispettate”
Non è necessaria la sofisticazione per analizzare la scelta di Pechino. Si tratta di una pura e dura manovra restrittiva che apre la strada a repressioni per uso illegale dell’etere.
È l’ultima perla di una collana che tenta di mettere il bavaglio alla libera informazione, alla circolazione delle idee. Dimostra coerenza con la censura, le restrizioni e più in generale con la repressione del dissenso. È in linea con il passato, proprio mentre la Cina avrebbe bisogno di gestire il futuro. Questa è probabilmente il nodo da sciogliere, l’interrogativo da porsi: perché la Cina sceglie una soluzione così anacronistica, che non favorisce il mondo degli affari e fa flettere la simpatia internazionale? Quali pericoli possono venire dal VPN? Qual è il motivo per far diventare Golden Frog, Astrill e StrongVPN (i suoi veicoli più usati) campioni della libertà quando erano sconosciuti al grandissimo pubblico?
È probabile che la decisione si rivelerà inefficace perché la scienza informatica è spesso più forte dei divieti e troverà altre soluzioni. Se non dall’ottusità, la decisione di Pechino sembra ispirata dalla paura, dal timore del nuovo, dal contagio con gli stranieri. La storia cinese è affollata di decisioni analoghe. La Cina si piega su se stessa quando è debole, si protegge quando non ha gli strumenti per intercettare il progresso. L’imperatore Qian Long nel 1793 rifiutò sdegnosamente ogni contatto con la Gran Bretagna che offriva – certamente con interesse – i prodotti della rivoluzione industriale. La Cina non negoziò un’apertura commerciale e culturale e si ritirò a difesa della propria originalità. La storia ci ricorda che l’Imperatore ritardò il tracollo. Soltanto pochi decenni dopo, una Cina decadente e autarchica fu facile preda delle potenze coloniali.
Oggi questo pericolo non è in vista, ma permane lo stesso livello di diffidenza, di incapacità di gestire situazioni complesse. La Cina è ormai grande, potente e muscolosa, dovrebbe essere matura abbastanza da non trasformare i VPN in un attentato alla sicurezza nazionale.