Weidmann e la periferia: Amore a prima vista

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In altro contributo (reperibile qui ) avevo sottolineato quanto in Europa le banche (incentivate anche dal regolatore) fossero pesantemente e vicendevolmente sovraesposte sui debiti sovrani, rendendo impossibile la ristrutturazione del debito di un singolo paese (oppure la sua uscita dall’euro), visto che determinerebbe pesanti effetti sistemici sulle istituzioni finanziarie dell’intera unione.

Peraltro, come ricordato da Mario Draghi nel discorso tenuto il 9 ottobre all’Harvard Kennedy School, in Europa il tasso di dipendenza delle aziende dal sistema bancario è straordinariamente più alto che negli Stati Uniti: più di due terzi dei finanziamenti alle grosse imprese sono costituiti da prestiti bancari; nel caso di piccole e medie imprese, tale percentuale è ancora più alta (negli Stati Uniti, invece, non più di un terzo dei finanziamenti è costituito da prestiti bancari). Questo, tra l’altro, spiega perché la BCE abbia deciso di attivare il LTRO e non un altro strumento non convenzionale di politica monetaria.

In Italia, peraltro, il perverso intreccio tra partiti e affari ha reso ancora più pervasivo e innaturale il ruolo delle banche (si veda, al riguardo, questo articolo)

Può ben comprendersi, quindi, quanto in Europa la crisi economica e/o del debito sovrano di un paese possano pesantemente colpire il suo sistema bancario (e viceversa) e quanto la crisi del sistema bancario possa danneggiare non solo l’economia del relativo paese ma anche quello di altri paesi, in un mortale circolo vizioso.

Negli ultimi anni, crisi economica, finanziaria e dei debiti sovrani si sono intrecciate e la BCE e le altre istituzioni europee si sono trovate costrette ad adottare misure straordinarie per sostenere il corso dei bond governativi e consentire il salvataggio di Stati e istituzioni bancarie, ammettendo che in quel frangente nessuna istituzione, anche non solvibile, sarebbe potuta fallire senza travolgere quelle di altri paesi e senza innescare una fuga di capitali dal continente e la stessa dissoluzione della moneta unica.

Alla necessità di tali salvataggi, seppure condizionati, si sono infatti adeguati tutti i paesi, anche quelli considerati più “virtuosi” e meno propensi a forme di aiuto.

Mentre in Italia, però, ancora si discute sull’opportunità di chiedere allentamenti ai trattati, gli altri paesi stanno procedendo in direzione opposta e preso atto delle problematiche si cui sopra stanno pervenendo all’eliminazione di forme forzate di solidarietà e dell’impossibilità, per Stati e banche, di fallire.

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In questo senso possono essere letti la creazione di un “Single supervisory mechanism” (previsto per l’autunno 2014), di un “Single resolution mechanism” (previsto per il gennaio 2015), l’introduzione delle clausole CAC nei contratti delle obbligazioni governative, l’obbligo di pareggio di bilancio accettato dai vari paesi con leggi di rango costituzionale, e i continui richiami del presidente della Bundesbank Weidmann (qui un esempio) alla necessità di spezzare il legame tra banche e debiti sovrani.

Nel titolo del sopra citato articolo di Bloomberg (“Ending sovereign-debt privilege would spur lending”) si mette in risalto che Weidmann propone di ridurre sensibilmente il legame in questione soprattutto per costringere le banche ad incrementare i prestiti alla clientela privata.
Nel discorso tenuto al Club di Amburgo il 30 agosto scorso, Weidmann però afferma anche:

“We want to censure that banks’ economic situation no longer depends so heavily on the solvency of their home country…Government debt should therefore be backed with a level of capital which adequately reflects the risk it carries and caps should be imposed on bank sovereign debt holdings”.

Weidmann inoltre precisa che

“appropriate capital rules and caps on lending to governements also have a disciplining effect on national fiscal and economic policy. Kennet Rogoff, former chief economist at the IMF, consider this effect to be stronger than that of stricter fiscal rules”

Tali limiti (“caps on lending to governments”), secondo Weidmann, potrebbero essere introdotti nell’ambito delle regole contenute in Basilea III, che al momento non prevede “caps” e continua ad assegnare, anche ai titoli dei cd. PIGS, un risk weight pari allo 0%.
Weidmann, quindi, sottolinea quanto imporre dei limiti all’acquisto dei titoli di Stato da parte della banche possa non solo consentire diversificare il rischio ma anche costituire un forte incentivo al rispetto da parte dei governi delle regole fiscali, con ciò però lasciando anche intendere che quando sarà completata, nei termini da lui auspicati, l’approvazione delle norme su banche e Stati, il loro fallimento sarà reso più difficile ma contestualmente anche possibile perché, ove intervenga, avrà sulle altre istituzioni, finanziarie e sovrane, un impatto massimo predeterminato e sopportabile.
In un articolo pubblicato dal Financial Times il 30 settembre scorso (“Stop encouraging banks to buy government debt”), Weidmann ribadisce i concetti di cui sopra, richiamando la necessità di “breaking the disastrous sovereign-banking nexus – in which shaky bank balance sheets degrade the solvency of their sovereigns, and vice versa” e di pervenire ad un adeguamento regolatorio, anche se tale adeguamento dovesse, in prima istanza, rendere un po’ nervosi i mercati.
Quel “nervosi” (nel testo originale “market turmoil”) sottintende, minimizzandola, la reazione che deriverebbe dall’impossibilità di continuare ad impiegare la liquidità offerta a buon mercato dalla BCE (non essendo escluso il rinnovo del LTRO) per acquistare titoli governativi ad alto rendimento, ma soprattutto la necessità che una consistente parte dei titoli detenuti dalle banche debba essere ceduta, ovviamente provocando un eccesso di offerta e la svalutazione del valore dei titoli stessi, con allargamento degli spread e con evidenti effetti negativi sul bilancio delle banche stesse.
Le limitazioni proposte da Weidmann comporterebbero, per conseguenza, una maggiore difficoltà a collocare il nostro debito, visto che potrebbe essere assorbito solo limitatamente da istituzioni bancarie.
Peraltro, la quota di debito in mano a residenti (tra i quali però sono comprese le banche italiane), sta continuamente e progressivamente aumentando, rendendoci meno dipendenti dall’estero (con minore tensione sui rendimenti) ma obbligandoci a convogliare sempre più risparmi, nonostante siano in continua diminuzione, verso l’investimento in titoli di Stato, peraltro da un lato auspicato e dell’altro biasimato e colpito dal costante aumento della tassazione.

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Emergerebbe, quindi, con ancora più rilevanza, l’esigenza di stabilire se sia o meno produttiva la spesa pubblica finanziata con tali risparmi, visto che gli stessi, tramite il canale bancario, costituiscono la risorsa per finanziare esigenze ed iniziative di famiglie e imprese.
Tali limiti e valutazioni farebbero pertanto conseguire, secondo Weidmann, sia una maggiore disciplina fiscale, determinata dalla necessità di ricorrere con più parsimonia all’indebitamento, sia la liberazione di risorse da impiegare (più) produttivamente.
Le considerazioni di Weidmann appaiono, effettivamente, fondate e sensate. Bisogna, però, aver chiaro che più il debito italiano sarà sottratto alle banche e riversato ai privati residenti, più la ristrutturazione dello stesso diventerà possibile e indolore per il sistema Europa e, a quel punto, l’Italia sarà costretta ad affrontare le sue inefficienze senza più alcuna arma “ricattatoria”.
In realtà, al momento, non è neppure chiaro se, come e quando i limiti suggeriti da Weidmann saranno introdotti all’interno di Basilea III, anche se tutto fa pensare che la richiesta tedesca sarà portata avanti con determinazione..
Inoltre, alcuni passaggi (la creazione di un’autorità europea indipendente di supervisione bancaria e di un fondo europeo per le risoluzioni bancarie) richiederanno la modifica di trattati esistenti o la sottoscrizione di nuovi trattati, come più volte fatto presente dalla Merkel (da ultimo qui).
Ci vorrà, pertanto, ancora qualche anno prima che il quadro complessivo venga a delinearsi integralmente. Tuttavia, sembra di potersi sostenere che vi sia la precisa volontà di prendere in considerazione un’eventuale ipotesi di Unione europea federale solo dopo che sarà stabilito, giuridicamente e di fatto, che i contribuenti saranno chiamati a concorrere alle perdite di istituzioni di altri paesi solo in via eventuale, sussidiaria e predeterminata, che la banca centrale europea avrà solo ed esclusivamente compiti di politica monetaria e che la ristrutturazione dei debiti sovrani potrà essere non solo percorribile, senza conseguenze sistemiche, ma anche, in talune circostanze, auspicabile.
Peraltro, la ristrutturazione del nostro debito andrebbe nella direzione richiesta da molti, in Italia. In realtà, se non vengono affrontate le cause del debito (un tasso di crescita del PIL inferiore a quello di crescita del debito), tale ristrutturazione determinerebbe solo una pesante distruzione di patrimonio e di reddito con vantaggi solo apparenti e transitori.
Nell’ipotesi, infatti, che venisse apportato un taglio del debito del 25%, i residenti italiani (che al momento detengono il 60% del debito) subirebbero l’istantanea cancellazione di ca. 300 miliardi di euro di patrimonio e la rinuncia a ca. 13 miliardi di euro di reddito annuo garantito dalle cedole.

Tralasciando ogni considerazione sulla enorme distruzione di patrimonio (che è distruzione di PIL potenziale e che quindi colpisce tutti), viene in rilievo che i 21 mld€ di interessi che verrebbero risparmiati dallo Stato (in realtà, come detto, per 13 mld€ si tratterebbe di un trasferimento di fondi dai privati italiani allo Stato in quanto il sistema paese, nel suo complesso, risparmierebbe solo il reddito – 8 mld€ – non più corrisposto ai non residenti), potrebbero essere presto compensati e annullati dai maggiori rendimenti/interessi che lo Stato dovrebbe riconoscere agli investitori affinché gli stessi acquistino – con tutti i rischi testimoniati dal precedente mancato rimborso integrale – la quota di debito annualmente collocata sul mercato (se, per esempio, il debito residuo di 1500 mld€ venisse ad avere, per tali motivi, un costo medio per interessi di un solo punto percentuale in più si avrebbe una maggiore spesa annua per interessi pari a 15 mld€). E’ chiaro, poi, che il Paese subirebbe un enorme danno reputazionale, che si rifletterebbe economicamente sulle posizioni contrattuali e sul debito presente e futuro di tutti i soggetti economici.
Mentre, quindi, gli impatti negativi sarebbero certi, seppure quantificabili solo per difetto, quelli positivi sarebbero limitati e transitori, dipendendo dal “rendimento” degli investimenti effettuati con i soldi degli interessi risparmiati.
Senza, però, quelle riforme a cui più volte si è fatto riferimento, non potrebbe che essere plausibile che la maggiore spesa finanziata con tali risparmi genererebbe, come ora accade, solo perdite (un maggior debito) e non una solida crescita.
Ci si potrebbe avviare solo verso un percorso argentino, il quale però, per qual paese, non si è rivelato un miraggio ma solo un tragico spettro.

post uscito in contemporanea su Ideas Have Consequences
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Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

2 Risposte a “Weidmann e la periferia: Amore a prima vista”

  1. In sintesi, in Europa la soluzione delle crisi bancarie e degli eccessi di debito sovrano, non trova altra soluzione che il massacro economico dei cittadini residenti.
    Se va bene, nous sommes foutus. 🙂

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