“Se avessi una pistola mi sparerei”: chi soffre di questa patologia 9 volte su 10 si toglie la vita | Vive sotto tortura 24 ore al giorno

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La disperazione (Foto di Holger Langmaier da Pixabay) - pianoinclinato.it

C’è una patologia che pur non essendo mortale causa decessi ugualmente. Chi ne soffre pur di non soffrire più preferisce togliersi la vita. 

Esistono dolori che non si possono descrivere con parole ordinarie.  Non sono quei piccoli fastidi che passano con una pillola o un po’ di riposo. No, parliamo di un dolore che ti cambia. Ti trasforma. Ti costringe a rivedere ogni cosa: la tua quotidianità, la tua percezione del mondo, la tua stessa identità.

Che accade quando la sofferenza è così intensa che non c’è spazio per alcuna razionalizzazione? In molti casi, il dolore non ha una forma tangibile. Non è un sintomo visibile a chi ti sta intorno.

È un nemico invisibile che devasta ogni parte di te, senza farti un minimo sconto. E a volte, questo nemico è in grado di portarti a un limite che, se non controllato, può cambiare tutto.

C’è un tipo di sofferenza che va oltre la capacità di comprensione comune. Un dolore che sfida ogni tentativo di spiegazione. Eppure, c’è chi vive con esso, affrontando ogni giorno come se fosse una lotta senza fine. Ma che gli fa desiderare una fine rapida, arrivando a dire “se avessi una pistola, mi toglierei la vita”. 

Il dolore che non si vede ma si sente

Nel corso degli anni, molte persone hanno cercato di descrivere il dolore in modo semplice, a volte con metafore che cercano di renderlo comprensibile. Ma cosa accade quando questa stessa sofferenza non si limita a un episodio, ma diventa una condizione cronica? È il caso di Ángel Cobos – come racconta lavozdegalicia.es – un uomo che ha sperimentato qualcosa di simile a una tortura costante. Un dolore che non lo ha mai abbandonato, nemmeno nei momenti più tranquilli della sua vita.

“Se avessi avuto una pistola, mi sarei sparato”, dice senza drammatizzare, ma con una verità che scotta. La cefalea a grappolo non è solo mal di testa: è un dolore lancinante che ti divora giorno dopo giorno, ininterrottamente, senza avvisare. Quella che molti chiamano “la malattia del suicidio” non è un’esagerazione, ma una condizione insostenibile che annienta fisicamente e mentalmente.

cefalea a grappolo
La malattia del suicidio (Foto di Santiago Gonzalez da Pixabay) – pianoinclinato.it

Una patologia che ti annienta

Nonostante le cure palliative e la medicina che non offre soluzioni definitive, Ángel continua a lottare. I farmaci, per quanto potenti, non garantiscono tregua e il dolore resta una presenza costante, pronta a colpire senza preavviso. Ma la speranza, seppur fragile, non lo ha mai abbandonato. È questa speranza a spingerlo a scrivere un libro, Memorie di un suicidio, dove racconta non solo la sua sofferenza, ma anche la resilienza necessaria per affrontarla e la lotta con la quale ha imparato a convivere.

Il suo libro non è solo un grido di dolore, ma anche un atto di coraggio. Ángel dimostra che, nonostante il dolore insopportabile, la forza di non arrendersi può aprire nuovi orizzonti. Con il suo umorismo e la sua determinazione, ha trasformato la sua esperienza in uno strumento di condivisione, dando voce a chi, come lui, combatte una guerra invisibile. La sua battaglia non è solo contro la malattia, ma contro la disperazione che la accompagna, trovando nella scrittura e nella resilienza una ragione per andare avanti.