CHIUDIAMO – CRAC FINANZIARIO: gigante italiano collassa per sempre, nel settore da 100 anni | 6.000 dipendenti a casa

Il fallimento (Foto di AlphaTradeZone da pexels) - pianoinclinato.it
Collassa una grande azienda italiana: il crac finanziario tanto temuto da tempo, è adesso arrivato. Migliaia di lavoratori a casa.
Era una di quelle aziende che ti facevano sentire orgoglioso. Anche se non ci avevi mai lavorato, anche se non sapevi esattamente cosa producesse. Bastava il nome.
Eri certo che fosse roba nostra. Alta qualità, storia, tecnologia italiana usata in mezzo mondo.
Ma oggi? Oggi è ufficiale: crolla un altro gigante, e stavolta fa rumore. Anzi, dovrebbe farlo. Perché 6.000 lavoratori italiani restano con il fiato sospeso, mentre il marchio finisce nel tritacarne del fallimento.
Un secolo di storia, iniziato nel 1919, buttato giù da anni di passaggi di mano, scelte discutibili, e quell’indifferenza tipica di quando pensi che qualcun altro ci penserà. E invece no, nessuno ci ha pensato. Né lo Stato, né chi avrebbe potuto. O dovuto.
Crac finanziario per la storica azienda italiana
La realtà è che da tempo Magneti Marelli non era più nostra, come ci spiega money.it che riporta la notizia. Venduta prima ai giapponesi, poi finita in mano a un fondo americano (KKR), ora è letteralmente schiacciata sotto quasi 5 miliardi di debiti. L’ultima mossa? Un’istanza di fallimento depositata negli Stati Uniti. Chapter 11: il codice della resa.
E mentre si cerca di rianimare l’azienda con prestiti e nuovi fondi qui in Italia ci si conta. A Sulmona, a Crevalcore, nei corridoi delle sedi che una volta pullulavano di idee, ora si aspetta solo di capire quanto durerà l’agonia.
Cosa succederà adesso
E il paradosso qual è? Ci vantiamo di esportare eccellenze, poi le lasciamo marcire sotto il peso della finanza a breve termine. Ci diciamo “Paese manifatturiero” e intanto perdiamo pezzi. Uno dopo l’altro. Perché questa non è solo un’altra fabbrica che chiude. È una storia che si spezza, è l’ennesimo colpo al cuore di un’Italia che aveva saputo costruire, inventare, progettare. Oggi invece sembra solo in grado di vendere, smembrare, dimenticare.
E mentre il sipario cala, resta una domanda amara in fondo alla gola: quante aziende ancora dobbiamo perdere, prima di accorgerci che non ne stiamo salvando nessuna? Che fine faranno adesso i circa 6000 lavoratori impiegati nelle varie sedi? Forse il vero crac non è quello economico, ma culturale. Abbiamo smesso di credere che l’industria sia un valore, che il lavoro sia un patrimonio da proteggere. E quando perdiamo qualcosa così grande, ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi. Quando non c’è più neppure una serranda da abbassare.