Il costo dell’ESM: uno sguardo più ampio

Karlsruhe
Nell’ambito delle ormai quotidiane discussioni sull’opportunità di rimanere nell’euro, si è dibattuto, in questi giorni, con la solita virulenza, su quanto fosse sinora costato all’Italia partecipare ai diversi programmi di aiuti ai paesi in difficoltà e, conseguentemente, se continuasse ad essere opportuno che il nostro paese, già in difficoltà di suo, erogasse, in quella quantità, denari che sarebbero potuti essere utilizzati per altri scopi.

Più precisamente, i commentatori favorevoli all’uscita dall’euro, hanno lamentato che, sulla base dei dati contenuti nel bollettino mensile della banca d’Italia di agosto 2013, così come poi diffusamente riportati dalla stampa, l’Italia avrebbe sinora erogato 50 miliardi€ per tali programmi.

In realtà, sebbene il “contributo” italiano sia effettivamente stato di quell’importo, la somma materialmente versata, così come dovuta, è stata meno della metà.

Occorre premettere che l’Italia, nell’ambito degli interventi e strumenti approntati dall’unione europea per garantire la stabilità finanziaria dei paesi aderenti, ha partecipato e partecipa a tre programmi:

– un primo programma di aiuti alla Grecia, cd. “Greek loan facility”, mediante il quale l’unione europea ed il fondo monetario internazionale, hanno concesso alla Grecia prestiti per circa 80 miliardi€;

– un secondo programma di aiuti per il tramite del fondo EFSF, appositamente costituito dall’unione europea per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani e delle istituzioni finanziarie;

– un terzo programma gestito, dal luglio 2013, dal fondo ESM, il quale, da quella data, ha sostituito il fondo EFSF, che resterà in vita (sino all’avvenuta restituzione di tutti i prestiti concessi e all’estinzione delle obbligazioni emesse) solo per rimanere controparte giuridica relativamente alle operazioni finanziarie poste in essere prima di tale data.

Con riferimento al primo programma, gli aiuti, gestiti dalla cd. “Troika”, hanno assunto la veste di prestiti bilaterali assunti pro quota dai paesi aderenti. Per la quota di competenza (ca. 20%), l’Italia ha dunque materialmente versato ca. 10 miliardi €.

Con l’istituzione del fondo EFSF, gestito da una società a responsabilità limitata di diritto lussemburghese con un capitale sociale di ca. 28 milioni di euro (sottoscritto dai vari paesi sulla base della loro quota BCE), gli aiuti successivi sono stati materialmente erogati dal fondo stesso mediante la liquidità ottenuta emettendo obbligazioni collocate nel mercato finanziario.

In pratica, il fondo raccoglieva fondi presso gli investitori e li destinava (dedotta una percentuale a titolo di rimborso spese e di riserva/garanzia precauzionale) ai paesi destinatari dell’aiuto.

In considerazione del sopra indicato modestissimo capitale sociale, tali obbligazioni non sarebbero potute essere emesse se non attraverso la garanzia dei paesi aderenti, anch’essa assunta pro quota.

E’ con riferimento a tale garanzia, che l’Italia ha assunto obbligazioni per circa 30 miliardi €, somma che però non è mai uscita dalle casse dello Stato.

Per varie motivazioni giuridiche (capitale sociale irrisorio, assenza di presupposti perché potesse essere considerato intermediario finanziario o creditizio, mancanza di effettiva autonoma capacità decisionale) il fondo EFSF non è mai stato considerato un soggetto autonomo e indipendente dai paesi aderenti, e di conseguenza sia i prestiti sia le garanzie sono stati iscritti, pro quota, nello stato patrimoniale dei paesi partecipanti (ad esclusione dei paesi riceventi l’aiuto, che naturalmente non potevano certo offrire garanzie per i prestiti dai essi stessi ricevuti).

Pertanto, la quota di competenza dell’Italia dei prestiti erogati dal fondo EFSF compare in bilancio sia all’attivo dello stato patrimoniale sia al passivo, sotto forma di debito pubblico. Di volta in volta, allorquando i prestiti verranno restituiti, saranno cancellate entrambe le voci.

Analogamente, nel conto economico (in realtà, nel bilancio e nel conto consuntivo) compariranno tra le spese gli interessi corrisposti (pro quota) ai detentori delle obbligazioni emesse dal fondo EFSF e tra le entrate quelli ricevuti dai paesi destinatari dell’aiuto.

Naturalmente, come sopra evidenziato, la gestione finanziaria dell’aiuto è direttamente gestita dal fondo e ai paesi non rimane altro che evidenziare contabilmente le relative poste.

Il meccanismo di cui sopra è mutato completamente a seguito della sottoscrizione del trattato che ha istituito, in sostituzione dell’EFSF, il fondo ESM, che gestirà i nuovi programmi di aiuti, l’eventuale ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie e che può partecipare all’OMT, qualora fosse necessario attivarlo.

Il fondo ESM è stato, infatti, costituito con le caratteristiche di un’autonoma organizzazione finanziaria internazionale di diritto pubblico, con un capitale sociale adeguato e, quindi, con attività e passività patrimoniali distinte dai paesi aderenti.

Le obbligazioni da esso assunte, pertanto, così come i prestiti erogati, non compariranno più, pro quota, nei bilanci dei paesi aderenti, così come invece avveniva con riferimento al fondo EFSF.

La capacità di intervento del fondo, 500 miliardi € dedotti gli interventi già effettuati dal fondo EFSF, sarà assicurata dal capitale sociale sottoscritto e, ovviamente, dai fondi ottenuti mediante collocamento di appositi strumenti finanziari di varie durate e caratteristiche.

Dei 700 miliardi di capitale sociale sottoscritti, solo 80, però, saranno effettivamente versati e i rimanenti rimarranno sotto forma di “callable capital” da richiamare in caso di necessità.

La quota dell’Italia (calcolata, come per gli altri, avendo riguardo sia alla percentuale di partecipazione al capitale BCE sia al prodotto interno lordo), pari a ca. 14 miliardi di euro, anche in questo caso comparirà sia all’attivo sia al passivo dello stato patrimoniale, senza alcuna incidenza (così come consentito da Eurostat) sui risultati di amministrazione (sui deficit, in sostanza) degli esercizi in cui si provvederà a pagare le rate del pagamento della quota stessa.

Ovviamente, per l’Italia, ogni erogazione di denaro (come nel caso del primo prestito bilaterale alla Grecia e del versamento della quota di capitale ESM) è fatta mediante la liquidità ottenuta emettendo obbligazioni, quindi aumentando il debito pubblico.

Come si è detto, dal punta di vista finanziario, le passività assunte a tal fine trovano esatta corrispondenza nelle relative attività (il prestito bilaterale e la quota del fondo ESM), sebbene ovviamente possa dirsi che tali attività non siano propriamente e prontamente smobilizzabili (d’altra parte, va detto che neppure le passività saranno mai rimborsate, procedendosi sempre al roll over).

E neppure può dirsi che si tratti di attività di certa realizzazione, diversamente da quelle rappresentate da azioni di società quotate (come nel caso dell’ENI). E’ chiaro, però, che le ipotesi sono solo due: o la stabilità finanziaria verrà raggiunta, ed allora gli investimenti (prestiti e quota ESM) si saranno rivelati tali (i prestiti saranno restituiti, il fondo ESM non avrà più ragione di esistere e il capitale sarà restituito, il nostro debito avrà un costo inferiore), oppure non verrà raggiunta, ma allora si determinerà un tale terremoto finanziario per il quale è anche difficile immaginare le conseguenze per il sistema paese e le sue componenti finanziarie e non.

Nel frattempo, pur nell’irrilevanza patrimoniale di cui sopra (il pareggio tra passività assunte e attività acquisite con tali passività), si generano comunque effetti e costi economici.

Le passività assunte, infatti, aumentano il debito pubblico (sebbene, come si è detto, tale debito trovi corrispondenza nelle attività acquisite e, quindi, non vi sia un incremento delle passività nette) e generano interessi passivi.

Tali maggiori interessi passivi, però, sono compensati da un lato dagli interessi attivi generati dagli “investimenti”, dall’altro dai minori interessi pagati grazie al calo dei rendimenti (in sostanza, anche se non propriamente, per il calo dello spread) ottenuto proprio per effetto dello scudo OMT offerto dalla BCE e dal fondo ESM.

In sostanza, assumendo l’attuale costo medio del debito al 4,3%, il maggior debito di 24 miliardi € (10 miliardi di debito per il prestito bilaterale e 14 miliardi di quota capitale ESM) genera ca. 1 miliardo di interessi passivi in più all’anno.

Se si considera, però, che ogni anno l’Italia rinnova ca. 300/350 miliardi di debito, si comprende che basta un modesto calo dei rendimenti per compensare la maggiore spesa di cui sopra.

Naturalmente, l’andamento dei rendimenti è dovuto ad una serie di fattori. Tuttavia, è agevole evidenziare che dall’annuncio del programma OMT, lo spread si è ridotto da ca. 570 punti base agli attuali ca. 240 punti, con un risparmio di spesa che ha ampiamente compensato (ed assorbito per molti anni a venire) la maggiore spesa per interessi generata dal “contributo” italiano ai paesi in difficoltà e ai cd. fondi “salva stati”.

E’ chiaro che trattasi sempre, come ogni altro intervento che non incide sulle cause, di provvedimenti che “comprano tempo” e limitano gli effetti di disfunzionalità esistenti e non ancora risolte.

Nella specie, ben più rilevanti delle problematiche sull’area valutaria ottimale, appaiono quelle relative ad un processo integrativo di paesi già molto indebitati e nei quali, per vari motivi, il rapporto deficit/debito continua a crescere ad un ritmo superiore alla crescita del prodotto interno lordo.

Tale disfunzionalità deriva, evidentemente, da una struttura di spesa che offre rendimenti inferiori al suo costo e che, quindi, a prescindere dal volume di spesa (con o senza “austerity”) distrugge valore anziché crearlo.

Né, al momento, è ragionevolmente confidare che nei prossimi anni possa assistersi ad una crescita impetuosa (al riguardo, per gli Stati Uniti).

Aggiungere, quindi, debiti ad altri debiti non elimina la necessità di un profondo ripensamento della struttura di spesa dei singoli paesi europei, del loro mercato del lavoro, del welfare, e delle modalità attraverso le quali conseguire maggiore competitività ed efficienza.

Corollario di tali provvedimento dovrebbe essere la possibilità, per gli stati, le amministrazioni locali e per le istituzioni finanziarie, di fallire, cioè – anche – della possibilità di ristrutturare il debito.

Il sistema federale statunitense è nato senza (o con pochi) debiti dei singoli stati, con l’impegno al pareggio di bilancio e con la possibilità di fallimento (da ultimo, quello della città di Detroit).

Inoltre, le banche statunitensi non hanno mai detenuto una quota rilevante di debito pubblico federale o statale. Né qualche stato dell’unione ha mai minacciato di uscire dal dollaro per svalutare ed essere più competitivo.

In Europa, invece, le banche (incentivate anche dal regolatore) sono pesantemente e vicendevolmente sovraesposte sui debiti sovrani e risulta evidente che la ristrutturazione del debito di un singolo paese (oppure la sua uscita dall’euro) avrebbe pesanti effetti sistemici sulle istituzioni finanziarie dell’intera unione.

Mentre tali aspetti potrebbero e potranno essere risolti a livello centrale (pareggio di bilancio, stabilizzazione dei debiti, normativa sulla vigilanza e liquidazione bancaria), quelli relativi alle cause dei debiti sovrani e della mancata crescita (struttura di spesa e sistema economico di ciascun paese) non possono che essere affrontati e risolti a livello locale, a meno di ulteriori cessioni di sovranità che, però, non sono affatto gradite all’opinione pubblica, non ancora convinta della necessità di profonde e radicali riforme.

La necessità, per l’Italia ma anche per altri paesi europei, di tali profonde riforme non verrebbe certamente meno nel caso di uscita unilaterale dalla moneta unica che, comunque, come si è detto, è al momento impraticabile visto che determinerebbe il fallimento delle sue e delle altrui istituzioni finanziarie.

L’idea, infatti, che la riacquisita sovranità monetaria potrebbe, attraverso la svalutazione e/o la monetizzazione – anche parziale – del debito, adeguatamente sorreggere un paese con 2000 miliardi € di debito (e quindi con la necessità di “vendere” ogni anno 300/400 mld € di debito), un’organizzazione amministrativa costosissima, antiquata ed inefficiente, un tessuto economico da ripensare, senza pagare un pesante prezzo in termini di interessi passivi e/o inflazione e senza avvitarsi, quindi, in una spirale sudamericana destinata al fallimento, è, a mio parere, totalmente ingenua.

La controprova, peraltro, è già nella storia, visto che il debito pubblico è sempre stato un’emergenza (si veda, al riguardo, il Comitato Spaventa anni 1988/9) e nei periodi in cui si è cercato di limitarne la crescita, monetizzandone una parte, l’inflazione a doppia cifra che si generava per effetto della monetizzazione erodeva pesantemente risparmi e costringeva a pesanti esborsi per interessi.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

2 Risposte a “Il costo dell’ESM: uno sguardo più ampio”

  1. With respect to providing a backstop for Countries in crisis, the Summits in several years so agreed to loosen some of the policy constraints on Greece, Ireland, Portugal, Spain, and Italy on the terms of access to credit and support.

    However, the firepower of the EFSF/ESM has not been enhanced.

    Demands on the financial resources of those mechanisms have been increased in order to support Banks and sovereign bond prices and to provide a lifeline for Cyprus, a recalibrated program for Greece, and a second program for Portugal.

    STOP!

    The Europeans have always discussed granting a banking license to the ESM, or to the EFSF prior to the ESM’s coming into full operation, which has not yet happened.

    This would enable the EFSF/ESM to leverage its capital with liquidity from the European Central Bank (ECB).

    I suspect that this step ultimately will be what it takes to turn the corner on the Euro-area crisis.

    With respect to growth, the European Summits have produced a “Compact for Growth and Jobs”.

    But let’s be frank, there is nothing in that compact that promises to contribute to growth in Europe over the next 18-24 months.

    That is the relevant timeframe if the economic and financial health is to be restored to Europe.

    Indeed, the Compacts calls for “differentiated growth-friendly FISCAL consolidation”.

    These fine words will soon be put to the test as deepening recessions in Euro-area economies push fiscal positions further into deficit.

    For this reason, the ball is now in the court of the ECB.

    River sleeping with spoon, so!

    The Political Leadership of the Euro-area has taken several important decisions.

    The Governing Council of the ECB must follow through on those decisions when it meets nextly if they are going to have a chance of being implemented.

    The ECB should take TWO decisions:

    – first, should at least signal a willingness to re-start its securities market program (SMP) if necessary as a bridge to the use of the ESM to support the secondary market in sovereign bonds;

    – second, the ECB should at least signal a willingness to consider granting a banking license for the EFSF/ESM.

    Again, this would be an insurance policy and a potential bridge to a more operational FISCAL UNION in the Euro-area.

    Some view the Euro-area crisis through the lens of political economy and as a necessary step toward building a more complete European Monetary Union.

    Of course,

    .!all economic policy is a COMBINATION of the economics and the politics!.

    The political economy of Europe over the past three and a half years has been dangerous on both political and economic grounds.

    European political economy has been dangerous politically because of the exercise of brinkmanship, most prominently displayed by making an example out of Greece and Italy in these days to coerce both the leaders of those Countries and other Countries to shape up.

    Such brinkmanship threatens to undermine the cohesion of the European integration project.

    Certainly there should be no permanent place in that project for realpolitik, the exercise of raw power.

    “Bullying is not cooperation”. Nor is it an efficient, sustainable route to the promotion of a greater sharing of sovereignty.

    .!BRUNETTA, docet!.

    European political economy has been dangerous economically because of the high price it has extracted within the Euro-area and imposed on the rest of the World.

    Last Italian days-off, docet!

    If someone had said in

    !January of 2010!

    that the crisis in Greece, a Country with a GDP of less than 3% of total Euro-area GDP and less than a half of a percent of World GDP on a purchasing power parity (PPP) basis, would be allowed to fester and spread to five other Euro-area Countries, including Spain and Italy, with the objective of instilling economic and financial rectitude in the other members of the Euro-area and of laying the foundation for a more perfect European Union, most observers would have been appalled.

    The European sovereign debt crises illustrate what happens when a group of Countries fail to effectively share sovereignty ex ante or to cooperate effectively in a crisis.

    Starting in

    !May 2010!

    the Europeans endeavored to create a firewall to prevent the spread of the Greek crisis to other Countries.

    They should have developed a safety [like SAFARI 6, Alien-san] net for those Countries that followed Greece into crisis because of the way the Greek crisis was mishandled.

    Either way, the economic costs of those failures are substantial and inexcusable.

    Over the past year or so, the principal negative element affecting the global economy has been the Euro-area crisis.

    In April of 2012, the International Monetary Fund (IMF) staff forecast in their World Economic Outlook that the level of world economic activity in 2013 “would be 1.5% lower than they had forecast only one year previously”.

    The associated loss of world GDP amounts to $1.1 trillion.

    Bye and re-call!

    The IMF forecast in April 2012 assumed that the Europeans would be successful in dealing with the Euro-area crisis, but over the ensuing three months, the crisis deepened.

    For the Euro-area alone, the projected shortfall of economic activity is 2.5% or $730 billion, which is more than two times the total annual GDP of Greece in 2010 ($305 billion).

    Even for Germany, the projected shortfall economic activity in 2013 is 1.5%.

    The lack of cooperation in Europe, based largely upon in inability to recognize the needs of their common sovereignty, has been expensive.

    Put the other way, the benefits of having the EX ANTE basis for greater cooperation (which would have required the symbolic abandonment of largely useless sovereignty within the Euro-area) would have been significant if European leaders and the general public in Europe were prepared to take the necessary steps.

    Whatever the outcome of the European sovereign debt crises, the Euro-area faces a continuing decline.

    .!A reasonable prediction is a decade of stagnation with real growth averaging less than 1% per year!.

    Turning to the economic costs that the Euro-area crisis has imposed on the rest of the World, for the “advanced Countries as a group”, the IMF’s projected shortfall in 2013 economic activity is 0.9%, or $1.3 trillion.

    In other words,

    .!Europe has imposed a loss of about half a trillion US dollars on the “other advanced Countries”!.

    The projected shortfall in economic activity in 2013 on average for the “emerging market and developing economies” is also 0.9%; all subgroups, starting with Central and Eastern Europe and the Countries in the Commonwealth of Independent States, are projected to have lower levels of economic activity.

    For the emerging markets and developing Countries, there is no projected loss in the dollar value of their projected GDP in 2013 because of the 8.7% appreciation of these countries’ currencies against the US dollar on average since 2010.

    My Friends Surfers have introduced me to a game called “forbidden [E_y_E] island”.

    It is an unusual game in that the players must cooperate in order to win the game and escape the island before it disappears into the sea; either all win or no one wins.

    We are far from this type of common sovereignty in Europe.

    For this purpose it is not enough to declare that the shared objective is to preserve European Monetary Union and the Euro.

    Declarations of determination alone will not save the Euro-area.

    Cooperative, concerted actions are required based on a common strategy.

    The European leaders this time have offered a more hopeful approach than in the past in both form and substance, but Europe could still be headed in the wrong direction unless the ECB builds an appropriate bridge on the structure of the decisions taken at the next summits and the political process implements those decisions comprehensively and expeditiously.

    http://www.youtube.com/watch?v=3ASu7t9YKvY

    _s-U-r-f-E-r_

  2. Sfugge all’uomo della strada la ricaduta di questi strumenti sul suo portafoglio.

    La promessa (per chi scrive demagogica) di un’uscita dall’euro e di una rediviva sovranità monetaria come cura, si presenta con precise istanze per i comuni cittadini e sono istanze di ridistribuzione della ricchezza (più lavoro, più potere d’acquisto, crescita dei consumi). Il Giappone viene presentato come aureo esempio (aureo non certo di fatto :D).

    Le politiche di rigore e le strumentazioni finanziarie adottate dalla BCE per “garantire” stabilità all’assetto Europeo e soprattutto alle banche (LTRO) hanno prodotto la percezione contraria che a pagare siano i cittadini, ed in Grecia i vari “salvataggi” hanno nei fatti ridotto la popolazione in condizioni pietose.

    Ok LTRO da qui all’eternità, ma la funzione che devono svolgere le banche, il credito, ripartirà o Unicredit&c sono la FED de noaltri e imbottite di titoli di stato e sofferenze sono paralizzate ed inabili ad erogare un mutuo a due ragazzi che voglion comprarsi una casa? L’unione bancaria la facciamo o no? Gli eurobond li facciamo o no?

    Sarebbe ipocrita stupirsi poi in un prossimo futuro del successo di istanze antieuropeiste e di uscita dall’euro a fronte di “non risposte” alle domande precedenti.

    In Italia le spinta contrarie all’Europa entreranno nel dibattito politico “per le masse”, mentre ora sono relegate in un ambito specialistico. La destra Berlusconiana è sempre più tentata dal cavalcare questo tema, ma gli interessi del “Cavaliere” per ora lo trattengono dal solito bombardamento mediatico e Grillo non sa bene il da farsi..

    La ricchezza è sempre meno condivisa:
    http://movingbox.blogspot.it/2013/09/inequality-for-all.html

    Inequality for all
    http://www.youtube.com/watch?v=9REdcxfie3M

    Questo è il principale problema irrisolto e sempre più grave dagli USA all’Europa. Il resto vien dopo e se non lo si capisce in fretta saranno mal di pancia e molto seri.

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