Sciogliere le briglie contro la corruzione

Nel 2011, entrando in una qualsiasi libreria di Milano si era colti da una strana sensazione: che la ‘ndrangheta fosse un fenomeno prevalentemente meneghino. Un florilegio di saggi, libri e pamphlet firmati da questo o quell’autore, spesso giornalista, di denuncia o di sistema, straripava dai tavoli e dagli scaffali per spiegare come il fenomeno associativo e delinquenziale fosse profondamente milanese. Come gruppi di affiliati a questo o a quel clan calabrese tenevano saldamente in mano redini e leve di potere, decidendo le sorti dell’intera città.

Ora, con l’esplosione del caso mafia capitale, la storia sembra destinata a ripetersi. Le librerie a Roma sono ancora relativamente sgombre da testi sull’argomento, ma in fin dei conti siamo sotto Natale, per qualche settimana ancora ci si dovrà permettere di essere tutti più buoni.

Al di là della comprensibile invidia professionale per chi è in grado di sfornare in quattro e quattr’otto qualche centinaio di pagine sul tema del momento, peraltro lavorando nel tempo libero, la questione è piuttosto grave e seria, e non si limita all’effetto sensazionalistico che nomi come ‘ndrangheta o mafia assicurano ai titoli di articoli e libri.

Non stupisce che il malaffare alimentato dalla corruzione, perché in realtà è di questo si sta fondamentalmente parlando, si concentri dove ci sono più soldi che girano. A Roma, la capitale politica e amministrativa dove vengono delineate e decise le linee e i capitoli di spesa della cosa pubblica; e a Milano, la capitale economica e finanziaria, dove invece viene generata la maggior porzione della ricchezza nazionale. I reati devono essere perseguiti, le responsabilità accertate e i colpevoli, condannati, devono scontare le pene inflitte. Ma una risposta efficace alla criminalità, soprattutto quella dei colletti bianchi, non passa soltanto per l’azione inquirente e penale. Non sarà un caso se lo stesso presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, ha dichiarato che l’inasprimento delle pene avrebbe scarsi effetti sul fenomeno corruttivo.

Fondamentale è piuttosto ridurre le condizioni che facilitano tali comportamenti. Un primo passo dovrebbe dirigersi verso uno sfoltimento della burocrazia. la complessità degli adempimenti previsti per fare impresa o partecipare a una gara, la molteplicità degli interlocutori, i meandri tortuosi da percorrere per ogni autorizzazione moltiplicano le occasioni di taglieggiamento. Non è vero, inoltre, che andando a definire in minuzie e dettagli qualsivoglia fattispecie di gara d’appalto si garantisca un maggior controllo e risultati migliori. Complicando le cose, anzi, la funzione di controllo diviene meno diretta e lineare. Alimenta una pletora di professionisti assunti per trovare il bandolo di un garbuglio inestricabile e spinge alla ricerca di un santo assiso nel paradiso della PA, che faccia fare alla propria pratica un salto in cima alla pila, o che studi un bando ad hoc per favorire un preciso contendente in gara.

[tweetthis]Aumentare fasi/organi di controllo produrrebbe effetto opposto a quello desiderato[/tweetthis]

Ogni pratica che richiede tempi lunghi, autorizzazioni che devono passare da un elenco fitto d’interlocutori, complessità burocratiche più o meno chiare costituisce l’humus ideale perché prosperino funzionari pubblici infedeli e politica corrotta. Aumentare fasi e organi di controllo rischierebbe di produrre un effetto opposto a quello desiderato.

 

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Pubblicato da Vittorio Zirnstein

Vedo cose e faccio, gente! Giornalista, ex direttore di Finanza&Mercati, Borsa&Finanza e Tuttofondi, mi occupo di economia, finanza e di tutto ciò che mi attira

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