L’amore cieco per la democrazia

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Come forse saprete sono nato a Genova, nella mia infanzia uno dei dischi di De André girava spesso sul piatto in salotto, ripesco così dalla mia memoria un brano che mi è sempre piaciuto molto, a cui oggi mi sembra di poter dare una nuova lettura.

Si tratta de “La ballata dell’amore cieco”, che racconta le peripezie di “un uomo onesto e probo” sfortunatamente innamorato di una donna “che non lo amava niente” e che, per sadica vanità, arriva a chiedergli prove sempre più alte del suo amore, fino a ordinargli di uccidersi per lei.

Molti cittadini delle democrazie occidentali sembrano sentirsi un po’ come il protagonista di questa storia: sedotti dalla bellezza della democrazia, si sentono come se questa chiedesse loro continui sacrifici, per pura vanità, senza ricambiare alcun amore. Si sentono abbandonati dalla democrazia. Ma questo riguarda le persone mature, che tirano qualche somma della loro vita. Cosa accade ai giovani?

Ricordo che quando ero ragazzo la società era ancora pervasa dal ricordo del regime autoritario prima e degli “anni di piombo” poi, e che c’era molta attenzione a posizionarsi lontani dalle idee radicali che contenevano qualche tipo di violenza. Noi giovani eravamo, demograficamente, maggioranza; e forse questo ci imponeva maggiore senso di responsabilità. Inoltre quando io ero un giovane liceale l’Italia era una società conservatrice, cattolica, dogmatica, incredibilmente giudicante: votare contro lo status quo equivaleva ad essere “di sinistra”, nel senso di laico, internazionalista (globalista) e a favore della libertà individuale, in qualche modo “buonista”.

Oggi, da padre, cerco di indagare come le giovani generazioni si approcciano all’idea del voto, a come si orientano politicamente. Percepiscono di essere, demograficamente, minoranza in un Paese sempre più fatto da e per le vecchie generazioni.

Su FT ho trovato un ottimo pezzo sul modo in cui i giovani si posizionano politicamente. Emerge che la “Generazione Z” non è una, ce ne sono due: i giovani uomini, che si stanno spostando sempre più verso idee conservatrici; e le giovani donne che si stanno spostando sempre più verso quelle che noi consideriamo idee progressiste.

Invece di chiedere ai giovani di posizionarsi per categorie (progressisti e conservatori) vengono esplorate questioni specifiche. Negli Stati Uniti c’è un sondaggio periodico chiamato “studio cooperativo sulle elezioni”; una delle domande è sul sessismo: le donne cercano di ottenere il potere ottenendo il controllo sugli uomini. Sei d’accordo con questa affermazione? O sei in disaccordo?

La maggior parte delle persone, per fortuna, indipendentemente dal loro sesso o dalla loro età, non è d’accordo con questa affermazione sessista. Ma poi si nota una cosa interessante, ovvero che le donne, indipendentemente dalla loro età, sono molto in disaccordo con questa affermazione. Tra gli uomini, quelli più anziani non sono d’accordo, mentre gli uomini più giovani sono molto più propensi, per una quota più che doppia rispetto agli uomini più anziani, a dire: “Sì, questo mi sembra vero”. Questo tipo di risposte arriva in maniera analoga anche da sondaggi fatti in Corea, in Germania, in Polonia e nel Regno Unito, come se ci fosse in corso una sorta di guerra socio-culturale su scala globale.

Il sondaggio, come dicevo, è periodico e questo tipo di convinzioni sessiste sembrano aumentare di anno in anno tra gli uomini, mentre non aumentano affatto tra le donne. C’è un trend da comprendere.

Nel Regno Unito, alla domanda “l’immigrazione mina la vita culturale della Gran Bretagna?” si notano risposte molto simili tra gli uomini e le donne che hanno più di 65 anni, risposte simili tra i quarantenni e i trentenni. Ma quando si arriva ai più giovani, ecco che le donne rispondono di sì solo nel 2% dei casi, mentre quasi il 20% dei giovani uomini si dice d’accordo.

Dunque questioni di genere e di immigrazione mostrano come negli ultimi anni le giovani donne sono diventate sempre più progressiste, all’opposto di come si orientano i giovani uomini, presi da un atteggiamento conservatore, in disaccordo con l’andamento del senso comune.

La teoria principale sul perché accade questo identifica l’innesco nella nascita del movimento “me too” nel 2017: le giovani donne, in consapevolezza di un’enorme, radicata e non vendicata ingiustizia sociale, sentono di avere una voce molto più forte. Prende corpo l’idea che il maschio – a prescindere – sia aggressore, e alcuni giovani uomini si ribellano al pregiudizio.

Mio figlio, 19 anni, di fronte a un’ora di lezione sottratta per parlare di “patriarcato” ha chiesto di uscire dall’aula perché, ha detto, non aveva intenzione di sentirsi colpevole di essere nato maschio. La reazione, quasi una difesa istintiva, senza bisogno di arrivare all’estremo di negare le questioni di genere, produce un’antipatia verso le logiche “woke“.

Se si cerca di imporre quale sia il modo “giusto” di pensare, si palesa prima di tutto sfiducia nella capacità delle persone di arrivarci da soli. Mio figlio sa benissimo che essere bianco, etero, sano e occidentale è un vantaggio, ma se si cerca di farlo sentire in colpa per una cosa che non ha scelto lui reagisce con la stessa indignazione che coglie chi è oggetto di razzismo per ragioni di razza, nazionalità o religione. Nessuno accetta di essere discriminato, nemmeno per le migliori ragioni.

E nemmeno si può pretendere di avere stabilito una verità indiscutibile a cui tutti si devono sottomettere. Oscar Wilde diceva

“La coerenza è l’ultimo rifugio di chi non ha immaginazione”

Chi è inamovibile nelle sue opinioni, non è in grado di accettare cose diverse. Quindi si affida alla coerenza. E come dice Wilde, questa posizione è solo per coloro che non hanno immaginazione.

Perfino il fact-checking è diventato sterile se non controproducente, in termini di polarizzazione: in una bella intervista su Il Foglio, Walter Quattrociocchi – docente ordinario di Data Science and Complexity presso l’Università La Sapienza di Roma – ci racconta che

L’utente dei social ignora le informazioni a contrasto, che addirittura lo irrigidiscono maggiormente sulle sue. Si cercano online i contenuti già congeniali e gli utenti più affini con cui ci s’accomoda in una echo chamber di condivisione in gruppi sempre più polarizzati. A qualunque nozione contraddittoria si reagisce male, perché un confirmation bias scherma dalle dissonanze cognitive.

Dimostrare che la verità è un’altra comporta un rischio. Stabilire una verità dall’alto consegna a chi detiene il potere il diritto di definire la verità e questo diventa facilmente un’insidia alla libertà di espressione. Le fake news sono l’effetto di un ecosistema progettato sempre più sul modello di business dell’intrattenimento che prevale sull’informazione.

Anche nel mondo del lavoro, sempre più spesso le grandi aziende sono impegnate a rispettare criteri di “diversity” e privilegiano, a parità di CV, i candidati di sesso femminile. E i giovani uomini pensano: per non essere discriminato devo sostenere una posizione “anti-woke”. Così nasce l’inspiegabile popolarità di un becero personaggio come Andrew Tate o la passione per “La Zanzara” di Giuseppe Cruciani.

E questo probabilmente spiega alcune delle cose che sembrano inspiegabili, come l’atteggiamento verso l’immigrazione, dove persone apparentemente normali arrivano a negare l’evidenza (“non è vero che fuggono da paesi in guerra”, “sono solo migranti economici”, “sono in salute e palestrati, non dei bisognosi”, ecc.) pur di rigettare quello che a loro appare come deprecabile mainstream woke: è giusto tutelare il diritto di ogni persona a potersi muovere liberamente.

Senza contare che nella maggior parte dei casi non si riceve immigrazione perché si è un paese ricco, ma un paese è ricco perché riceve molta immigrazione, perché questa aumenta il potenziale dell’economia. La quantità di dati a supporto di questa tesi è schiacciante.

Questa situazione si intreccia con la questione della frammentazione dei media di cui abbiamo già parlato: gli algoritmi propongono a ciascuno i contenuti che più probabilmente piacciono, facendo aumentare la separazione tra gli spazi occupati dai giovani uomini e dalle giovani donne su Internet, e ne consegue una polarizzazione sempre più profonda.

Una prova? La piattaforma che ospita più contenuti pro-Palestina è TikTok. La piattaforma che ospita più contenuti pro-Israele è… sempre TikTok. La app più orientata al pubblico giovane offre massimo spazio ai due estremi e generando apertamente engagement con questo sistema, genera un incentivo verso i creators a polarizzare i loro contenuti. Non è una polarizzazione completa, ma è problematica perché appare come una polarizzazione negativa che si origina dal #MeToo e si propala nelle “camere dell’eco” che si formano online.

Oltretutto le cose dal mondo online si trasferiscono sempre più facilmente al mondo fisico, la ragione è che le relazioni umane hanno cambiato molto natura rispetto a quando ero ragazzo: è una cosa bizzarra, la percentuale di persone che si “incontrano” online è ampiamente la maggioranza ora. Da padre osservo come si costruiscono le relazioni dei miei figli: chiacchierare con qualcuno in un bar o a scuola, tra i più giovani, non succede più. Sarà una coda del covid, o un’evoluzione naturale che deriva dal potenziamento dei mezzi di comunicazione, ma è un dato di fatto: per “vedersi” con gli amici e fare qualcosa i giovani si collegano online e il dialogo avviene condividendo contenuti.

Giovani uomini verso i partiti più conservatori e giovani donne nella direzione opposta. Il problema che può crearsi è che la politica stessa rischia di diventare più di genere. Si rischia da una parte di diventare ancora più legati al modello dell’uomo forte (dove l’uomo forte non deve essere necessariamente un uomo, come Giorgia Meloni dimostra e come Marine Le Pen potrebbe confermare) e, sul versante opposto, si rischia che anche la politica liberale e progressista diventi di genere, con l’ostinazione di declinare al femminile le parole… il che non farà che esacerbare questa divergenza.

Se arriveremo alla femminilizzazione del liberalismo e alla mascolinizzazione dei conservatori, questo aggraverà assolutamente non solo la percezione, ma anche la realtà in cui viviamo. I leader democratici ripetono che l’ostilità verso gli immigrati è razzista, roba da fascisti. E chi identifica la tolleranza verso l’immigrazione nell’insopportabile “ideologia woke”, premiano chi si dichiara apertamente razzista, negli USA (un paese letteralmente fatto di immigrati) c’è un candidato presidente che disprezza i migranti, e non lo fa di nascosto: lo dice apertamente perché chi lo vota non è qualcuno che cerca un leader democratico e poi si ritrova a sopresa un dittatore, lo vota esattamente perché si dichiara fascista: si occuperà davvero della cosa, un razzista rappresenta una garanzia che non diluirà le sue promesse in un buonismo che rischia di discriminarli, il potere non verrà gestito in maniera liberale e democratica tutelando le minoranze.

Se sei un giovane e ti senti un po’ bersagliato per il fatto di essere “normale” e vedi che il senso comune sta per la parità dei sessi, i diritti LGBT, l’accoglienza… Tutte queste cose rappresentano lo status quo a cui ribellarsi. Quello che succede è che emerge un gruppo elettorale che si polarizza su una posizione anti-liberale, anti-establishment, anti-élite, e questo si rifletterà nei voti.

Nel nostro paese, inoltre, il rapporto con gli Stati Uniti è sempre stato controverso, siamo stati a lungo il paese occidentale con il partito comunista più forte, e legami profondi anche “oltre-cortina”, il sentimento anti-atlantista è insomma sempre stato molto forte in Italia, ma mentre una volta questo implicava un approccio di apertura “anche al resto del mondo” che alimentava il processo di globalizzazione, oggi la visione anti-atlantista si miscela con un sentimento anti-globalizzazione facendo avvicinare le due estremità di destra e di sinistra.

Vale per gli individui, ma vale anche per gli Stati: con un netto distacco dal periodo post-Guerra Fredda di crescente globalizzazione, vediamo che i Paesi privilegiano ormai la sicurezza e la resilienza nazionale, rispetto all’efficienza economica: commercio selettivo, spostamento delle fonti di fornitura, ridondanza delle produzioni e dei fornitori.

Una cosa da tenere d’occhio sono le elezioni europee di quest’anno. Perché sono considerate una sorta di test elettorale, non vengono percepite come elezioni davvero rilevanti e non sottostanno a logiche di coalizione, o di “voto utile”.

E quando prende corpo il desiderio di vedere cosa succede prendendo scelte “assurde”, estreme, contrarie al senso comune, torna di nuovo utile Oscar Wilde: diventa difficile accantonarle in un angolo del pensiero.

Non vi è altro modo di liberarsi da una tentazione che di soccombere ad essa. Se resistete, l’anima vostra si ammalerà di desiderio per quelle cose che le sono state rifiutate. Ogni impulso che ci sforziamo di soffocare cova nella mente e ci avvelena… L’unico modo per sbarazzarsi della tentazione è cedervi.

-Oscar Wilde-

La democrazia liberale, non è affatto comoda: impone delle responsabilità. E non offre in cambio nulla di tangibile, non promette di risolvere alcunché, si limita a garantire le condizioni ideali perché le più funzionali soluzioni ai problemi possano emergere.

Rispetto ad altri modelli sociali, che premiano la fedeltà al leader o il tesseramento al partito unico, la democrazia liberale si avvicina di più ai modelli meritocratici. Ma questo non è sempre un pregio: se da una parte la meritocrazia premia la dedizione, l’impegno, la determinazione e le qualità individuali, dall’altra fa ricadere sui singoli individui le responsabilità dei loro fallimenti, sfumando i confini fra le condizioni avverse e gli alibi di chi non si è impegnato abbastanza.

La spinta verso modelli deresponsabilizzanti, centrati su entità paternalistiche solleva gli animi al punto da mettere in ombra i lati autoritari che questi modelli finiscono sempre per avere. E’ così che il socialismo mantiene immutata la sua capacità di affascinare le menti nonostante l’evidenza degli esiti che produce dove viene applicato.

Gli esercizi per dissacrare il potere, nel sistema democratico in cui viviamo, non sono mai mancati; basta pensare a “Ho visto un re” scritta da Dario Fo per Enzo Jannacci, che dopo aver descritto come le vessazioni sociali procedano dall’alto in basso, chiude dicendo che i contadini (gli ultimi) devono sempre rimanere allegri per non rattristare coloro che sono al di sopra di loro.

Con questo approccio vittimista, ampie parti della società si affiancano, spinte da altre ragioni, ai giovani che si ribellano alle logiche woke.

Ma la democrazia liberale è il diamante prezioso che abbiamo acquisito dopo i disastri del Secolo Breve, buttarlo via perché “dai diamanti non nasce niente” come cantava De André in “via del campo” sarebbe un errore molto costoso da correggere.

Anche perché, è giusto ricordare in chiusura, ne “la ballata dell’amore cieco” cui accennavo all’inizio, il protagonista muore, ma di fatto vince:

“morir contento e innamorato / quando a lei niente era restato / Non il suo amore, non il suo bene / ma solo il sangue secco delle sue vene”.


Questo post è il terzo di un trittico sul lento mutamento dello scenario economico-politico-sociale che stiamo vivendo. La prima parte si intitola “i cambiamenti importanti sono lenti” mentre la seconda parte è “la frammentazione dei media
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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

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