Stavo riflettendo sul bel libro di Oded Galor “Il viaggio dell’Umanità” di cui vi parlavo nella Settimana dell’Alieno #30 e al fatto che avere di più per tutti, cosa che forse diamo un po’ troppo per scontata, è dipeso dalla possibilità di sfruttare il capitale umano, regalataci dallo sviluppo tecnologico.
Oltre alla costante nostalgia del passato, siamo spesso preda di paura del futuro; e nella ricerca di protezione da questo futuro minaccioso troviamo rassicurazione in narrazioni, che in realtà si traducono politicamente in indirizzi dannosi.
Comprendere i cambiamenti, o addirittura intuirli, è materia complessa. Specie quando le cose hanno funzionato a lungo in un modo e sono in procinto di cambiare. Fino al 1800 la visione di Malthus, con la preoccupazione che l’aumento di popolazione avrebbe ridotto il pianeta alla fame, poteva sembrare fondata, sembrava descrivere l’ordine naturale delle cose. Dopo il 1800 è diventato, via via, sempre più chiaro che la crescita demografica è proprio ciò che ha permesso di far uscire dalla povertà quote crescenti di popolazione mondiale. Pretendere che si dovesse intuirlo prima che accadesse sarebbe stato troppo.
Proverò allora a immaginare e sviluppare qui un cambiamento strutturale meno profondo, di un trend che è durato a lungo, ma non così tanto da farci pensare che sia l’ordine naturale delle cose.
Da dove veniamo
Siamo nel 1978, l’Italia inorridisce per il rapimento ed omicidio di Aldo Moro, conseguenza del clima avvelenato nel 1977 in scia al “compromesso storico”, nel paese la violenza è all’ordine del giorno e la corruzione dilaga (come emergerà clamorosamente 15 anni dopo) a tutti i livelli, al punto che il Presidente della Repubblica Leone deve rassegnare le dimissioni in scia allo scandalo Lockheed. Verrà nominato Presidente il socialista Sandro Pertini, che dirà
«Siedo qui, dove avrebbe dovuto sedersi Aldo Moro»
Nello stesso 1978 al Vaticano viene eletto papa il polacco Karol Wojtyła. Mentre nel resto del mondo lo scenario sta evolvendo: con gli accordi di Camp David la lunga coda della guerra del Kippur si chiude, mentre nella Cina comunista il presidente Deng Xiaoping avvia l’apertura dell’economia, iniziando le riforme che miravano a creare il “socialismo di mercato”:
«Non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che acchiappi i topi»
Parafrasando: “non è necessario essere integralisti nel comunismo o nel capitalismo, purché si generi crescita”.
Così la Cina riemerge e questo influisce profondamente sull’offerta di lavoro globale. E’ difficile crederci oggi, ma quando la Cina è entrata nell’economia globale, la disponibilità globale di lavoratori è aumentata di colpo del 50%.
A partire dalla fine degli anni ’70, i tassi di interesse iniziano a scendere in modo costante, e questa discesa si è progressivamente perpetuata fino al 2021.
Cosa succede al mondo? Tutti gli asset aumentano di valore quando il tasso d’interesse scende, perché il tasso d’interesse è il tasso al quale si scontano i guadagni futuri, il tasso al quale si valutano le cose.
L’apertura dell’economia cinese è la ragione strutturale della discesa dei tassi di interesse, perché il 50% in più di lavoratori fa scendere i salari nel resto del mondo, innanzitutto per le persone che facevano i lavori che ora fanno i cinesi, con salari enormemente più bassi. E abbassando i salari nel resto del mondo, succede che molte persone perdono il lavoro nella produzione industriale, semplicemente perché la produzione manifatturiera gradualmente si spostava verso la Cina.
E quando i salari scendono, in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che erano economie di mercato più libere, succede che visto la manodopera costa meno, si impiegano più persone e meno macchine. Così, nel corso degli ultimi 25 anni, abbiamo assistito a un abbassamento dei salari (specie quelli più bassi) in Occidente e a una diminuzione dell’impiego di capitale.
Il dato recente registrato in Italia (+520mila posti di lavoro nell’ultimo anno, quando il PIL ha segnato solo +0,6%) è perfettamente coerente con questa visione: più persone, meno macchine e minore produttività.
E un calo della produttività significa prospettive opache per i salari dei lavoratori.
Non è un caso se in questi ultimi 30-40 anni la proporzione fra i salari e il costo di un appartamento si è spostata così tanto: nel 1978 l’affitto incideva per il 25% sui redditi degli italiani, mentre oggi, per un neo assunto nella pubblica amministrazione incide per il 68%. Lo sbalzo nelle proporzioni del “quanti anni di salario servono a comprare un appartamento?” è simile anche parlando di acquisto. Non è altro che l’espressione di una progressivamente minore remunerazione riconosciuta al lavoro in un’economia sempre più basata sui servizi e sulla finanza.
E il problema dei servizi è che è più difficile creare incrementi di produttività: Un parrucchiere, a differenza di un’industria automobilistica, non può migliorare i suoi processi con l’automazione, mica può concepire una forbice che taglia i capelli di dieci clienti contemporaneamente, e il tempo che ciascuno di noi passa sulla poltrona di un parrucchiere per un taglio è sempre lo stesso: l’industria dei servizi è un’industria umana, quasi impermeabile ai cambiamenti della produttività e della tecnologia.
E’ per questo che le economie “emergenti”, essendo basate molto di più sul primario e sul secondario, sull’estrazione e lavorazione di materie prime e sulla manifattura, hanno potenzialità di crescita superiori: hanno spazio per incrementi sostanziali di produttività grazie all’introduzione di tecnologie e automazione.
Se si passa dalla manifattura ai servizi il salario medio delle persone cresce meno velocemente, perché manca il beneficio della maggiore produttività, la crescita economica fa scendere la disoccupazione, ma anche i salari restano compressi. Per anni ci si è interrogati sulla “caduta” della teoria della curva di Phillips (che dice che quando la disoccupazione diminuisce, i salari dovrebbero aumentare). Ma il problema è che l’occupazione in Occidente si stava spostando nei servizi.
Questo passaggio ad una economia dei servizi è stata la molla che ha spinto l’ascesa delle dot-com. L’intera industria tecnologica è decollata, da allora. Con tassi di interesse sempre più bassi, gli investimenti di capitale sono molto economici: si possono correre grandi rischi sulla tecnologia. Le fortune della Silicon Valley vengono dunque da qui, e dal trasferimento di genialità e competenze dagli asiatici in America, che dà agli americani un vantaggio comparativo a chi più è aperto all’immigrazione, come lo sono stati gli USA per molto tempo.
Come stanno cambiando le cose
Ora però la popolazione cinese sta invecchiando (secondo le più recenti proiezioni i 1,3 miliardi di persone di oggi diventeranno mezzo miliardo nel 2100); 40 anni di “one child policy” (la politica di un figlio per famiglia) hanno innanzitutto prodotto una sproporzione di anziani, ma hanno anche indotto a favorire i maschi, abortendo (o peggio) le nasciture femmine.
Questo è uno degli elementi che mi fa pensare che anche se i tassi di interesse potrebbero scendere un po’ nel prossimo anno o due, i tassi di interesse che si muovono verso lo zero sono una cosa del passato, superata.
L’altro elemento in fase di strutturale cambiamento è l’immigrazione, la grande questione politico-economica dei prossimi anni. Per gli americani, che prima erano molto aperti all’immigrazione, ora è il tema più scottante in ottica delle elezioni. Nel Regno Unito, Sunak spera di salvare il suo partito con regole più stringenti sull’immigrazione, in Canada l’immigrazione è in aumento verticale, di certo la situazione geopolitica produce un impatto (basti pensare ai milioni di rifugiati ucraini che hanno trovato rifugio in Europa), ma gran parte di questo spostamento sta cambiando la dinamica.
Prima dell’Ucraina, c’era la Siria. La “produzione” di profughi è una tendenza in crescita, purtroppo. La politica globale sta cambiando, e sta diventando più estrema, polarizzandosi di più sia a destra, sia a sinistra.
Tutti i grandi cicli economici contengono in sé le radici della propria fine. In pratica, abbiamo avuto un aumento massiccio del valore degli asset, grazie alla dinamica di tassi calanti per 40 e più anni, e la manodopera sempre più a buon mercato. Chi è ricco diventa ancora più ricco e reclama a voce sempre più forte che lo Stato deve ritirarsi, diventare piccolo: il libero mercato, il settore privato, può occuparsi di tutto.
In tutto questo è implicita la disuguaglianza, che è stata sempre più tollerata in questo lungo ciclo: le persone che possedevano beni si sono arricchite, mentre le persone che dipendevano dai salari si sono relativamente impoverite in tutto il mondo occidentale, ma l’accesso a beni di consumo a prezzi calanti ha consentito a questa strana formula di mostrarsi stabile.
Ma la crescita dell’immigrazione cambia gli equilibri nella formula, perché colpisce le persone in modo diverso: La classe operaia compete con gli immigrati nel lavoro, per gli alloggi, per la scuola, per l’accesso alla salute. Quindi, è naturale che si sentano un po’ più minacciati in un momento in cui i loro salari sono relativamente in calo. Le persone della classe media e in particolare della classe media superiore vivono l’immigrazione in modo completamente diverso: l’immigrazione per loro rende possibile il servizio di Glovo, ci sono più camerieri per i ristoranti…
Insomma, se fai uso dei servizi, l’immigrazione è ottima perché ne riduce il prezzo: parrucchieri, pizzaioli, consegne a domicilio e così via. Ma se sei un salariato, gli stranieri prima hanno sradicato il lavoro manifatturiero dal tuo paese, e ora arrivano come immigrati minacciando il salario di chi lavora nei servizi.
E’ una tensione naturale che si forma nell’anima di tutte le società occidentali. Personalmente, ritengo che l’immigrazione sia carica di benefici, migliora la crescita economica aggregata e peraltro, umanamente, penso che ogni persona abbia diritto a una possibilità: essere nati nel posto “sbagliato” non può essere una colpa che giustifica la condanna a restare confinato in un angolo sfortunato del mondo. Ma qui si tratta di capire che in Occidente le persone chiedono di essere difese da un fenomeno che vivono come minaccia.
E in un anno in cui quasi il 50% degli abitanti di questo pianeta viene chiamato alle urne per le elezioni, la questione dell’immigrazione sarà l’argomento di disputa principale: Trump per guadagnare consenso promette apertamente di avviare la deportazione dei migranti. Gli europei voteranno alle elezioni europee di giugno, la volta scorsa ci fu l’ascesa dei ‘verdi’. E questa volta i verdi saranno massacrati, perché vedremo una vittoria massiccia delle destre.
C’è chi relativizza le elezioni europee, ma sono comunque un segnale per capire dove sta andando ogni Paese. Guardando ai contenuti dell’offerta politica, il tema del momento è l’immigrazione. Assisteremo sicuramente a maggiori controlli sull’immigrazione, a un irrigidimento. Se la gente lo vive come un problema importante, se ne può dibattere ma c’è stato un cambiamento importante in questi anni: prima, la politica esprimeva dei leader e la gente seguiva; ora, grazie alla frammentazione dei media e del messaggio, la politica è un follower dell’opinione pubblica. E siccome l’opinione pubblica è sempre più sensibile sulla questione dell’immigrazione, la politica la tratta come le persone vogliono sentirla raccontare.
Gli immigrati non sono il problema, sono -economicamente parlando- un’opportunità, su base aggregata. Generano il fabbisogno di nuove case, di altre infrastrutture, portano contributi essenziali al funzionamento della previdenza sociale. ma le persone vanno protette dalle ricadute individuali negative di questi impatti positivi sul sistema aggregato. Quale politico può oggi permettersi di parlare di spesa per costruire case, infrastrutture, accoglienza e integrazione di ciò che l’opinione pubblica spaventata percepisce come una minaccia?
Basta guardare cosa sta succedendo in Francia, o in Gran Bretagna dove sia i Conservatori, sia i Laburisti sono molto contrari all’immigrazione. In Olanda ha vinto Wilders, in Germania cresce AfD, in Italia c’è il primo governo guidato da un partito post-fascista. Anche nella socialdemocratica scandinavia vanno per la maggiore i “True Fins”, questi sono fenomeni reali e sono espressioni del grande e lento ma progressivo cambiamento di massa che stiamo vivendo. E non possiamo ignorarlo.
La buona notizia è che una delle ricadute di questo cambiamento sarà una crescita dei salari in Occidente: la disoccupazione molto bassa in tutto l’Occidente si tradurrà in un aumento dei salari.
Rispolvero un’idea molto marxista, del pendolo tra Capitale e Lavoro. Si sposta di nuovo verso il lavoro. Verranno ripensate le logiche fiscali, per recuperare le disuguaglianze che sono state causate dagli ultimi 40 anni. E’ talmente evidente che anche una “bandiera” dei liberali come Elsa Fornero parla serenamente di imposta patrimoniale:
Lo vediamo già negli Stati Uniti, con movimenti sindacali molto più forti, come abbiamo visto nel settore auto lo scorso autunno. E Biden era in manifestazione coi lavoratori , mentre Trump cerca da sempre di ergersi a rappresentante della classe operaia. Avremo aumenti salariali perché il ritorno su capitale sarà più alto. I tassi zero, l’inflazione zero, sono il passato.
E la crisi d’identità è tutta nella parte sinistra della politica, che da una parte vuole essere progressista, inclusiva e guardare agli ultimi, ma dall’altra è animata da spinte conservatrici, per proteggere i diritti acquisiti. Il partito Democratico americano, per esempio, è scivolato fuori dalle simpatie della classe operaia e nel tempo è divenuto il partito sostenuto dalla parte più colta e vincente del paese, dalla Silicon Valley, da Wall Street e da Hollywood, così coloro che si sentono “gli ultimi” devono rivolgersi a chi promette vendetta per le loro paure, offrendo capri espiatori facili (gli immigrati) votando le destre conservatrici che non faranno nulla per mitigare la vera ragione del loro malessere (la disuguaglianza).