L’isola delle pescatrici di perle

Questa è la storia di Emiko 笑子 che in giapponese significa “fanciulla che sorride“.

Emiko visse anni di spensieratezza prima di andare sposa ad un rispettabile fabbricante di geta, i tradizionali sandali di legno, e si trasferì nel villaggio remoto di Utoro. 

La convivenza si rivelò presto una prigione per i maltrattamenti e le violenze inflitte dal marito padrone. Il suo sorriso si spense. Una maschera tragica calò sul provato viso, ormai inespressivo e fisso, ed il cuore nascose dietro un paravento di giunco.

From “Hekura, the diving girl’s island” underwater photobook, 1962 by Fosco Maraini ©

Tutte le notti, in preda all’agitazione, lo stesso sogno: un tuffo, e poi il buio, la sensazione di sprofondare in fondo al mare, una fune lunghissima che stringe la cintola, il silenzio e miriadi di bolle d’aria che corrono veloci verso la baluginante luce della superficie. In quella dimensione onirica provava un sentimento di quiete, in quel cordone ombelicale riaffiorava, da lungo tempo celata, la nostalgia di affetti perduti. Nel frattempo, tra percosse e riappacificazioni temporanee, nacque mia madre. La chiamò Mizuki “fatta d’acqua” 水基.

La nascita, invece di allietare la coppia, accrebbe il clima di tensione. Una femmina, sciagura!

Fosco Maraini, Woman and child on a motorcycle, Utoru village, Japan
© Fosco Maraini, Woman and child on a motorcycle, Utoru village

Per mesi Emiko pensò ad un piano di fuga ma ogni volta fu presa dall’angoscia. Proprio non riusciva ad immaginare una vita diversa da quella che il destino le aveva assegnato. E finiva poi che ci ripensava e la giostra delle botte continuava. Un giorno del mese di marzo si fece coraggio, neanche la pioggia battente poté fermarla. Nella foga di fuggire, perse gli zoccoli. E così scalza e scarmigliata, inforcò la motocicletta e partì di corsa con la piccola Mizuki sulle spalle, unico bagaglio di un viaggio senza ritorno.

image
© Fosco Maraini, Rain and a forgotten sandal at the Miyajima Sanctuary, 1953

Attraversò tutta la penisola, fermandosi solo una volta per allattarla, le gote rosse come fragole e manine gelide per il freddo ed il vento incessante. Era l’alba quando giunsero ad Hekura, l’isola delle Ama, le pescatrici di perle, le gloriose amazzoni del mare, fedeli eredi dell’antica tradizione giapponese della pesca femminile in apnea.

Qui nessuno ci farà del male

pensò e sfinita s’accasciò con la bimba tra le braccia.

Emiko e Mizuki furono accolte dalle native con l’amore mite della balia e dal conforto di fumanti tazze di tè e sushi freschissimo. Le pescatrici potevano far paura con quel grande pugnale sempre infilato nel perizoma, ma bastava guardarle negli occhi, per scoprire, un senso infinito di purezza e rassicurante rifugio.

image
© Fosco Maraini, Ama divers knife

L’isola diventò la loro casa e quelle creature meravigliose la loro nuova famiglia. Emiko, perla tra le perle, ritrovò così il suo travolgente sorriso ed un’incantevole giovinezza che l’accompagnò tutta la vita.

image
© From “Hekura, the diving girl’s island” photobook, 1962 by Fosco Maraini

 

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Daniela Pepe

Anima migrante, laureata in economia. Lasciò tutto per l'America viaggiando in Transiberiana. Vive a Roma ma il suo cuore è a Tel Aviv

4 Risposte a “L’isola delle pescatrici di perle”

  1. Bellissima storia con note fresche e profonde. Tuttavia devo essere sincero, le pescatrici non mi hanno fatto paura, ma più che guardarle negli occhi non ho potuto far altro che guardare il perizoma, colpa della foto di Maraini eh…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.