Quando si parla di immigrazione risulta chiaro che qualcosa è cambiato nel profondo all’interno della nostra società e non mi pare che l’offerta politica si sia adeguata al mutato contesto.
Ragioniamo un passo alla volta.
Per alcuni, gli immigrati non lavorano, non si integrano con le nostre tradizioni e regole, e sono solo parassiti economici, persone che “rubano il lavoro” o fonte di pericolo.
E la risposta standard è:
“Non è vero! Sono utili per le pensioni, si integrano e non delinquono più degli altri”.
Ma quello che parte proprio male è la divisione iniziale in “noi” e “loro”, che nasce da un apparentemente innocuo senso di appartenenza nazionale, per poi esaltarlo fino a incendiarlo, trasformandolo in nazionalismo arido.
No alla tolleranza
Parlare di utilità, integrazione, parassitismo e pericolosità porta a polarizzare e a innalzare frontiere. Accettare di parlare di “tolleranza” conferma i pregiudizi sulla negatività dell’immigrazione e considera gli immigrati dei “diversi”.
C’è una visione del mondo, sempre più diffusa, secondo cui c’è la nazione in cui viviamo, e c’è l’esterno, tutto il resto. Gli immigrati spostandosi dall’esterno verso l’interno, rimangono estranei. Tutto ciò che ottengono (lavoro, diritti, risorse) sono doni da parte nostra.
Questa è una visione del mondo molto comune, rafforzata da come parliamo e ci comportiamo, perfino dalle mappe appese nelle nostre aule scolastiche. Il problema di questa visione del mondo è che non corrisponde al modo in cui il mondo funziona realmente.
I confini sono stati per secoli linee da valicare alla ricerca di espansione territoriale, per colonialismo o conquista. L’Italia è nazione da meno di due secoli. Nel nostro piccolo non so quanti di noi si sentano calabresi, ma “Italia” deriva da lì: gli “Italiani” (i Vituli) erano una popolazione che abitava a sud dell’odierna Catanzaro, e che adorava un vitello.
Ribaltiamo allora le domande iniziali, ponendoci domande diverse:
1) Visto che ciò che genera la ricchezza di un paese è il Lavoro, in che modo le politiche esistenti rendono più difficile per gli immigrati difendersi e più facile essere sfruttati, riducendo loro salari e diritti (rendendoli così lavoratori più “competitivi”)?
Quando i datori di lavoro sanno che possono tenere un immigrato sotto ricatto con la sua mancanza di documenti, ciò rende quel lavoratore ipersfruttabile, e questo ha un impatto non solo per i lavoratori immigrati, ma per tutti i lavoratori.[sociallocker].[/sociallocker]
2) Quale ruolo svolgono i paesi ricchi nel rendere difficile o impossibile per gli immigrati rimanere nei loro paesi d’origine? L’immigrazione non è una passeggiata di salute, ma per molti la possibilità di rimanere a casa non c’è, se non da sfruttati o da superstiti di guerra. Quali responsabilità hanno gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina – i principali produttori di CO² del mondo – nei confronti dei milioni di persone già sradicate dal riscaldamento globale?
Poi c’è la Disuguaglianza. Un argomento che tocca la sensibilità di moltissimi. I divari di reddito e di ricchezza si stanno allargando in tutto il mondo.
Ma la prima cosa da ricordare in merito è che ciò che determina se si è ricchi o poveri è innanzitutto dove si nasce.
Quindi le possibilità di una vita lunga, sana e appagante sono distribuite in maniera fortemente diseguale (e a nostro vantaggio), pensarci magari fa ridurre la rabbia per le rimesse di denaro che gli immigrati inviano alle loro famiglie d’origine.
Pongo queste domande, invece che quelle sull’utilità, l’integrazione o la pericolosità, e spesso vengo “accusato” di ragionare così perché
“evidentemente stai bene economicamente”
Curioso, se ci pensate bene: significa che a voler avere un approccio conservatore sono coloro che ritengono di stare male economicamente, il che è piuttosto bizzarro. Dovrebbero desiderare il cambiamento, non la conservazione, se pensano di passarsela male.
D’altro canto bisognerebbe forse anche chiedersi se chi “sta bene” sia “più aperto” o se piuttosto il punto non sia che avere una mentalità aperta finisca per migliorare le proprie condizioni…
[tweetthis]Chi “sta bene” è naturalmente più aperto, o essere aperti “produce” benessere?[/tweetthis]
A meno che, intimamente, sappiano benissimo di essere dei privilegiati in questo mondo, e ragionino così perché vogliono difendere i loro privilegi. Adottano la narrativa da “terzo Stato” ma in realtà stanno “a Versailles” e “dispensano brioches”
Quelle domande, invece di parlare di tolleranza, parlano di giustizia, senza un presupposto nazionalista. Non è una sfida da poco accettare e allargare le nostre frontiere (anche mentali). Serve inventiva e coraggio.
I confini del dibattito sull’immigrazione possono essere spostati.
Sta a noi farlo.