La questione più discussa in economia? La vexata quaestio per eccellenza? No, non riguarda il tasso di inflazione da considerarsi ottimale o la qualità, buona o cattiva, del debito.
E’un tema più radicale che chiama in causa lo status, l’identità stessa dell’economia: siamo alle prese con una scienza?
L’ inclusione dell’economia tra le scienze sociali si deve considerare corretta ed appagante o conserva un che di denigratorio, di incompiuto rispetto alle scienze “vere”, quelle per intenderci dalle quali abbiamo derivato le ingegnerie che ci hanno consentito il dominio sulla natura ed il benessere di cui disponiamo?
Ci si deve rassegnare, o forse godere, di un’economia “regno delle opinioni” o è legittimo attendersi e auspicare una “maturazione” dell’economia verso una forma di sapere capace di fornirci, per la gioia forse di legislatori e attori economici, conoscenze certe e precise sulle quali tutti concordino e che consentano di intervenire nell’habitat economico ottenendo effetti prevedibili?
Come che sia, c’è un indicatore fondamentale che consente di concludere che oggi l’economia non è, o non è ancora, questo: la varietà di teorie economiche in circolazione, il loro azzuffarsi persino sulla definizione dei concetti di base, l’incapacità di ciascuna di esse di spiegare fino in fondo e autonomamente la realtà economica. Del resto, come scriveva un grande economista che ci ha da poco lasciati,
“la ‘mela’ di cui gli economisti si occupano non è una mela ‘newtoniana’, che obbedisce nella sua caduta a leggi imprescrittibili. E’una strana mela, una mela che pensa. E che, cadendo, può cambiare opinione e percorso” (Giorgio Ruffolo).
Qui ad “Economia per tutti”, convinti come siamo che ci si debba rendere conto della Storia per evitare di vivere alla giornata, amiamo talora interrompere la narrazione del fatto economico proprio per passare in rassegna queste mele pensanti, le dottrine economiche, e ricostruire il percorso di caduta di ciascuna di esse.
Questa volta, però, abbiamo voluto esagerare. In una “conversazione inclinata” che ha l’ambizione, crediamo legittima, di “restare”, mettiamo a confronto tutte le principali teorie economiche.
L’obiettivo è fornirvi una mappa concettuale del pensiero economico sulla quale i punti cardinali sono tracciati dai due grandi “discrimen” rispetto ai quali ogni dottrina si è nel tempo schierata: la capacità o meno del’economia di autoregolarsi fino a tendere ad un proprio, autonomo equilibrio naturale, e le diverse gradazioni di presenza dello stato nell’economia che si ritengono auspicabili.
Partenza obbligata, quindi, dalla teoria neoclassica e dai suoi assiomi.
L’idea, cioè, che l’individualismo spinga ogni persona ad assumere decisioni autonome e basate sull’interesse personale e che poi l’aggregato di tutte queste singole decisioni, mosse dall’obiettivo di massimizzare il beneficio personale, produca il più efficace utilizzo possibile delle risorse disponibili e generi il massimo benessere complessivo.
Come sappiamo, però, la “mano invisibile” di Adam Smith, asseritamente capace di di tradurre in benessere collettivo gli animal spirits sprigionati dall’egoismo individuale, ha tutt’altro che chiuso il discorso. Anzi, la storia del pensiero economico si è successivamente caratterizzata come un insieme di aggressioni, variazioni e confutazioni di quei postulati.
Questo è il filo che vi srotoliamo nella nostra chiacchierata.
Dalla variante della “scuola austriaca”, per la quale l’equilibrio neoclassico è alterato dall’eccessiva disponibilità di credito bancario che induce l’alternarsi di cicli economici positivi e negativi, ai liberisti e alla loro visione mercatocentrica, al monetarismo, dominante nella teoria e nella prassi dell’ultimo quindicennio con le inondazioni di liquidità del Quantitative Easing, ma meno popolare da quando sì è scoperto che la notizia della morte dell’inflazione era fortemente esagerata.
Poi le star del dibattito politico- economico, più spesso brandite come clave che lette e studiate.
Keynes, il quale attribuisce centralità ai consumi e alla necessità di evitare, anche con il temporaneo intervento dello Stato, l’avvitamento a spirale del ciclo dei consumi stessi.
Marx, irriducibile ad una sintesi se non con riferimento alla sua straordinaria intuizione del plusvalore ed agli errori madornali cui fu indotto dalla convinzione che il capitalismo fosse giunto al termine della sua capacità di sviluppare progresso e forze produttive.
A completare il quadro, ma non meno importanti, Hyman Minsky, con la sua teorizzazione di una spirale inversa a quella keynesiana per spiegare l’instabilità dei mercati finanziari, e l’economia comportamentale che, in barba all’ homo oeconomicus assolutamente razionale della teoria neoclassica, illumina l’ampia gamma di modelli di comportamento alternativi che l’essere umano adotta nella sfera economica.
La mappa delle dottrine economiche vi aspetta, dunque, sulla vostra piattaforma preferita.
La puntata su Rischio e Incertezza menzionata in questo episodio è disponibile qui.
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