Le Lezioni di Ian McEwan, un grande romanzo del nostro secolo

Lezioni

Con questo autore, ormai quasi quattro anni fa, ebbero inizio le nostre #LettureInclinate, la rubrica che state leggendo: Ian McEwan, nato in Inghilterra nel 1948, con Macchine Come Me ci aveva regalato, nel 2019, un sofisticato ed attualissimo romanzo sul rapporto fra l’uomo e la macchina, oltre a raccontare in maniera originale la storia della seconda metà del Ventesimo secolo, per il tramite di un’ardita ucronia sulle sorti di Alan Turing e dei suoi studi sull’informatica, che ci avrebbe portati, se fosse sopravvissuto, già negli anni Settanta e Ottanta, ad essere interconnessi.

Ora è senza dubbio il caso di tornare a parlare di lui, perché lo scrittore inglese ha realizzato quello che Sandro Veronesi ha definito, su La Lettura, “il miglior romanzo del secolo”: un’affermazione forte, che il romanziere pratese ha argomentato con dovizia nella sua lunga recensione.

Ed effettivamente, l’ultima opera di Ian McEwan (Lezioni, Einaudi, pagg. 561, Euro 23) è uno straordinario romanzo che racconta la storia di Roland Baines, nato anche lui nel ’48, di suo padre Robert, ufficiale dell’esercito, e del figlio Lawrence, nato nel 1985.

Il romanzo si apre con la scena del ricordo trasognato di un ragazzino in una stanza, un piano ed una giovane, severa e sensuale maestra di musica: l’insegnante e il discente ci appaiono, da subito, una coppia morbosamente legata, come si comprenderà molto presto nella trama; la scena poi si sposta nel 1986 (c’è la nube di Chernobyl in giro per l’Europa) con Roland, quasi quarantenne, che culla un neonato, Lawrence: il ricordo della maestra di piano (Miriam Cornell) era la reverie ossessionata di un padre insonne. E solo: infatti apprendiamo subito che la moglie di Roland, Alissa, è scomparsa, se n’è andata (e ciò creerà anche alcuni grattacapi a Roland alle prese con un poliziotto che pensa lui l’abbia seppellita in giardino).

Il baricentro del libro è qui, nel 1986, con Roland da solo, nella sua casa di Londra già bisognosa di manutenzione, fra cumuli di biancheria da lavare, pappe, passeggino e biberon, Lawrence neonato, Alissa sparita. Da qui, con una tecnica narrativa ellittica, parte una minuziosa ricostruzione: l’infanzia di Roland in Africa settentrionale a seguito del padre Robert, soldato apparentemente inappuntabile, reazionario al punto giusto, con la figura sofferente e delicata della madre Rosalind, che conosceremo meglio nella sua vecchiaia rivelatrice. Poi andiamo in Germania, sempre appresso al padre, e poi di nuovo in Inghilterra, a scuola: qui l’incontro con Miriam Cornell, il rapporto acerbo ma tempestoso che ne nasce, la possessività di lei, una morbosa ed illecita relazione che segnerà, in seguito, tutta la vita di Roland.

La narrazione prosegue e probabilmente non è sbagliato fare riferimento ad un impianto narrativo da grande romanzo russo: ci leghiamo ai tanti personaggi di questa saga famigliare, li conosciamo, li amiamo per come li vediamo, dolenti e problematici, solcare le difficoltà di vivere: il romanzo incede, pieno di avvenimenti, fino ai tempi più recenti e McEwan ha la capacità, come già aveva fatto Jonathan Coe in Bournville, di fornirci annotazioni e collegamenti con gli accadimenti politici del Regno Unito e nello scenario internazionale: abbiamo detto di Chernobyl, ma fatti importantissimi accadono a Roland durante la crisi dei missili a Cuba, seguiamo il filo degli eventi ai tempi dell’avvento di Margareth Thatcher e proprio nelle ore della caduta del muro di Berlino, quando Roland avrà, proprio lì, un incontro casuale ed importantissimo che spiegherà molte cose. E poi la vittoria del New Labour di Blair e poi dei Conservatori della Brexit, fino alla pandemia e ai giorni nostri.

Il romanzo, nella sua prima metà, apre una serie di trame e di interrogativi, narra eventi cruciali nella vita dei vari personaggi e poi, piano piano, risolve ogni cosa, scavando in profondità nelle motivazioni di quello che è accaduto, nella psicologia dei personaggi, nella ragione intima del loro agire: perché la moglie di Roland è sparita? E come ha influito il rapporto morboso fra Roland e Miriam sulle loro vite? E il piccolo Lawrence, poi diventato adulto, rivedrà mai sua madre? E Rosalind, la mamma di Roland, perché è così remissiva e triste? E il severo ed autoritario Maggiore Robert Baines cosa nasconde?

Questo è ciò che abbiamo di fronte: una grande narrazione che man mano si spiega, si srotola inesorabile col passare del tempo: il lettore attento si dovrà preparare ad emozionarsi, a piangere, ad ascoltare il dolore, lo strazio con cui spesso i nostri personaggi spiegano le loro scelte, pur devastanti, ma legittime, perché, sembra dirci il romanzo, è necessario che ognuno viva la sua vita come pensa sia giusto.

Ma vediamo qualcuno dei nostri personaggi, il Maggiore Baines:

“Anni di vita da fuciliere alla caserma di Fort George in Scozia prima della Guerra, sottopagato e perennemente affamato, avevano reso il padre di Roland sensibile alla soddisfazione di elargire dolciumi al figlio. Oltre a renderlo severo, un uomo al quale era rischioso disubbidire. Una miscela potente. Roland lo temeva e lo amava. Lo stesso faceva la madre”.

Ed eccola, Rosalind, la madre:

“In un’altra zona della nube di famiglia abitava la tristezza di sua madre. Per lui era la normalità. Se ne stava acquattata nei suoi toni sommessi, nella sua apprensione, nel mondo in cui ogni tanto smetteva di fare quello che stava facendo e guardava lontano, persa in un ricordo o in un sogno a occhi aperti”.

Ian McEwan andrà a fondo di questa severità, di questa tristezza, svelandoci, quasi come in un thriller psicologico, cosa avvenne in quegli anni difficili, fra il 1941 e la nascita di Roland nel ’48, quasi ad ammonirci: guardate che ciò che siamo nella nostra vita di adulti e maturi cinquantenni dipende da cosa siamo stati nel resto di essa.

Con la stessa precisione conosceremo Alissa, la moglie fuggitiva di Roland, torneremo ai tempi della relazione di questi con Miriam Cornell, scopriremo perché Roland non ha mai abitato con i fratellastri Susan ed Henry, perché non proseguì gli studi gettando al vento il suo enorme talento di pianista; e la narrazione sarà tutta tesa a spiegare, ad analizzare il perché di tante cose che sono successe, in un susseguirsi di “scene madri” splendidamente raccontate, di incontri cruciali, di spiegazioni semplici, ma allo stesso terribili, di quel che è accaduto: scene che ci lasciano attoniti, emozionati, devastati da ciò che leggiamo, con la sensazione di quanto una semplice, banale vicenda umana possa modificare il corso della nostra vita.

E proprio McEwan ce lo ha detto, in un video presente in rete: egli ha voluto analizzare “the straordinary level of chance and contigency in our life”, mentre in questa discussione a Philadelfia nel settembre 2022 ha fatto un’affermazione che forse ci dà, in estrema sintesi, la cifra di questo libro: “we still need people in our books”: e questo è un libro fatto di persone, di come vivono, del perché soffrono, scelgono.

In un’intervista di qualche tempo fa, il nostro autore raccontò di quando, negli anni Settanta, consegnò il manoscritto di “The Cement Garden” a Philip Roth, che allora viveva a Londra con Claire Bloom; dopo un po’ Ian andò nell’appartamento di Philip, che aveva steso i fogli del manoscritto per terra e inziato ad apostrofare il giovane Ian su come doveva modificare e integrare il suo romanzo: “praticamente mi spiegò come fare un romanzo di Philip Roth, cosa che io non sapevo né potevo fare”, ci racconta McEwan: ecco, forse ora ci sei arrivato, caro Ian, a fare un grande, enorme, “brillante” romanzo come piacerebbe a Philip Roth.

 

 

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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