Ricontrordine compagni, di miliardi al Monte dei Paschi di Siena ne servono cinque. In meno di un anno i vertici del Monte dei Paschi sono stati costretti a rivedere non solo i tempi, con l’ok dell’assemblea del 28 dicembre al rinvio chiesto dalla Fondazione, ma anche l’importo della ricapitalizzazione. Facendolo lievitare da 1 miliardo a 2,5 poi a tre e infine a cinque. Questa mattina il consiglio di amministrazione ha approvato all’unanimità l’operazione che dovrà essere approvata dall’assemblea straordinaria del 20-21 e 22 maggio.
“Pensiamo di avviare l’aumento a metà giugno e di completarlo a metà luglio senza ritardi sulla tabella di marcia”, ha poi spiegato nel pomeriggio l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, intervistato da SkyTg24. Perché non bastano più tre miliardi? Mps lo spiega in una nota: «In un contesto caratterizzato da elevata incertezza e limitata visibilità in merito al cosiddetto processo di comprehensive assessmemt, che comprende lo stress test e l’Asset quality review, condotto dall’autorità di vigilanza a livello europeo, la banca ha deciso di adeguare i propri indicatori patrimoniali ai migliori standard di mercato”. L’incremento dell’aumento, si legge sempre nel comunicato, «ha lo scopo di dotare la banca di un buffer di capitale funzionale all’assorbimento di eventuali impatti negativi derivanti dal comprehensive assessment e continuare a far fronte agli impegni assunti nel piano». «Inoltre, la maggior dimensione dell’aumento di capitale potrà consentire a Mps di accelerare la realizzazione del Piano Industriale 2013-2017, cogliendo al meglio le opportunità derivanti da una possibile ripresa delle condizioni macro-economiche e dell’attività bancaria e accelerare potenzialmente, in funzione degli esiti del comprehensive assessment, il rimborso integrale dei nuovi strumenti finanziari rispetto ai tempi concordati con la Commissione Europea». Queste le motivazioni “tecniche” per altro profeticamente anticipate dal numero uno di Algebris, Davide Serra, qualche settimana fa in un report riservato ai suoi clienti e illustrato con un’intervista a Radio 24 (ne scrive qui Andrea Boda).
C’è però anche chi interpreta l’improvviso “effetto AQR” sui conti del Monte (per alcuni trattasi di prudenza, per altri di panico) come il campanello di allarme per una trimestrale ancora in profondo rosso (i rumors parlano di poco meno di un miliardo di perdite) che avrebbe alimentato i timori per gli stress test di maggio della banca centrale europea il cui verdetto si conoscerà a ottobre.
Di certo l’operazione porta la regìa di Andrea Orcel, il banchiere di Ubs che è già advisor finanziario dell’aumento da 3 miliardi e tuttora al fianco di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola nella ricerca di investitori interessati a scommettere qualche fiche milionaria sulla banca più antica del mondo. Orcel conosce bene sia Profumo che Mps. Ex Goldman Sachs, ex Boston Consulting e poi approdato alla Merrill Lynch (nello stesso periodo in cui Profumo conquista il vertice dell’allora Credito Italiano), nel 2010 Orcel era stato in pole position per prendere il posto proprio di Profumo in Unicredit, spinto dalla Fondazione Cariverona. Il banchiere ha poi scelto Ubs (e soprattutto un ingaggio da 26 milioni di dollari) . Ma il suo nome, per i senesi, resta ancora legato al peccato originale di Antonveneta: fu lui, quando ancora era presidente della divisione “global markets & investment banking” nella sede londinese di Merrill Lynch, il regista dello spezzatino di Abn Amro che consegnò la banca padovana al Banco Santander e poi nel 2007 al Monte dei Paschi di cui infatti Merrill diventò advisor subito dopo l’annuncio del blitz. Corsi e ricorsi storici a parte, oggi sul Monte dei Paschi si stanno muovendo due diverse fazioni. La prima, capitanata appunto da Ubs in qualità di Global Coordinator e joint Book runner, è sostenuta dal tandem Profumo-Viola e vede schierate le banche del consorzio di pre-garanzia dell’aumento che si sono impegnate a sottoscrivere l’eventuale inoptato: Citigroup, Goldman Sachs International e Mediobanca in qualità di Co-Global Coordinators e joint Bookrunners e, in aggiunta, Barclays, BofA Merrill Lynch, Commerzbank, Jp Morgan, Morgan Stanley e Société Générale come Joint Bookrunners. Dall’altra parte c’è lo squadrone messo insieme dagli advisor della Fondazione Mps. Ovvero il fondo messicano Fintech e quello Brasiliano Btg con cui l’ente senese ha siglato un patto di sindacato che raggruppa il 9% della banca dopo aver ceduto loro un pacchetto del 6,5 per cento. In mezzo altri fondi di investmento e hedge che negli ultimi mesi hanno rastrellato azioni di Rocca Salimbeni. Compreso soprattutto il colosso Blackrock oggi ufficialmente al 5,7% (ma fra il 5 e il 10% i movimenti non vengono registrati dagli aggiornamenti dei radar della Consob) il cui unico obiettivo è far rendere l’investimento e fa il tifo solo per i flussi di cassa che arriveranno.
Cosa farà adesso la presidente di Palazzo Sansedoni, Antonella Mansi? Oggi l’ente è al 9% nel capitale sociale di Mps. Quota che comprende il 6,5% da trasferire a Fintech e Btg una volta incassato il via libera all’accordo coi fondi dal Tesoro (il cui placet se pur informale sarebbe già arrivato) e da Bankitalia. Extra patto quindi la Mansi possiede il 2,5% del Monte. E se da via Nazionale arriverà l’ok ad alzare l’asticella dell’aumento a 5 miliardi, dovrà mettere sul piatto circa 125 milioni di euro. Considerando i circa 400 milioni incassati con le cessioni delle quote degli ultimi mesi, la Fondazione ha quindi altre munizioni a disposizione per partecipare alla ricapitalizzazione con un piccolo sforzo in più e ritrovarsi così ad avere circa il 5% della banca senese. Gli stessi due fondi, brasiliano e messicano, oltre a sottoscrivere pro quota l’aumento potrebbero scommettere qualche fiches in più e salire ulteriormente nel capitale. Non solo. Il patto a tre siglato con la Mansi prevede la presentazione congiunta di una lista per la nomina dei membri del consiglio di amministrazione e di una lista per la nomina dei membri del collegio sindacale di Mps, alcuni obblighi nel caso di sostituzione dei membri del cda. E soprattutto prevedono che la Fondazione possa scegliere il candidato da proporre come presidente e i due partner l’amministratore delegato. Con il reciproco consenso delle altre parti. Ovvero con veti incrociati per blindare il meccanismo di nomine congiunta dei futuri vertici. Il patto non prevede inoltre penali in caso di ritiro di una delle parti. Anzi, come ha sottolineato la presidente Mansi lo scorso 4 aprile, “potrebbe essere la base di un polo di aggregazione”. Polo attorno al quale costruire l’azionariato di riferimento per governare la banca. Perché è proprio la governance il vero nodo del contendere. E la posta in palio.
I vertici della fondazione si stanno consultando con i consulenti legali, con l’advisor Lazard e con i fondi dal patto parasociale per decidere subito dopo Pasqua le contromosse da compiere sia in vista dell’assemblea sul bilancio già convocata per il 29 aprile sia in merito alla deliberazione odierna del cda. Di certo, però, fanno notare alcuno osservatori. Nel consiglio del Montepaschi oggi siedono ben sei membri che erano stati espressi dalla Fondazione quando ancora aveva il 51% di Mps. Ora che il parterre azionario è stato stravolto, questi membri non rappresentano più alcun i soci che li hanno nominati e dunque tecnicamente i fondi potrebbero chiedere un cambio di poltrone già nell’assemblea di fine aprile. Le strade da seguire per la Fondazione sarebbero tre: mandare avanti Fintech e Btg che potrebbero sfiduciare l’attuale cda e quindi far saltare anche la delibera di oggi; oppure mettersi alla ricerca di nuovi investitori che entri attraverso l’aumento di capitale da 5 miliardi allargando quindi quel patto di sindacato già sottoscritto con i messicani e i brasiliani. O, in alternativa, sciogliere il patto con i due fondi e stringerne un altro con nuovi investitori di lungo periodo. Chissà. Di certo la battaglia non si combatterà solo fra la Mansi, in tandem con i fondi stranieri, e Profumo. Ma anche fra gli advisor della Fondazione e quelli della banca. La primavera senese sarà caldissima e l’estate ancora più rovente.