Alla fine il Tapering è arrivato, come il Natale. Per molti ha rappresentato la fine di un periodo di incertezza, tant’è che i mercati hanno festeggiato questa fase che durava ormai da settembre. Per altri, e non credo siano pochi, invece sta iniziando a spaventare il grafico che mette in relazione l’andamento del mercato azionario con quello del bilancio della Federal Reserve, destinato a ridurre il tasso di crescita fino ad appiattirsi nell’arco del 2014.
A mio parere questo grafico che sta circolando è distorto per due ordini di motivi: 1) prende un periodo ad-hoc per giustificare una tesi “a priori”; 2) mette insieme due serie trendizzate utilizzando “l’effetto scala” per mostrare una relazione che potrebbe essere non così stretta.
Per dire se l’azionario è sopravvalutato è necessaria un’analisi che metta in relazione la capacità delle aziende di fare profitto con l’andamento delle azioni, in pratica trovare il valore sottostante dell’azionario in funzione dei propri valori fondamentali. Un esempio può essere l’utilizzo di alcuni indicatori fondamentali, come quelle che usa Ed Yardeni http://blog.yardeni.com/ nel suo blog.
Nel primo ci sono due esempi di P/E del mercato azionario americano, mentre nel secondo ci sono due misure della Q-tobin, in cui valori superiori all’unità suggeriscono l’esistenza di incentivi ad investire per le imprese. In entrambi i casi non sembrano evidenti dei casi di particolare sopravvalutazione dell’S&P500.
Un metodo alternativo riguarda l’uso dei profitti capitalizzati. Tale metodo caro ad Arthur B. Laffer, mette in relazione l’andamento del mercato azionario con quello dei profitti scontati con un appropriato tasso di interesse (es. valutazione del 2011: http://www.rounsfull.com/images/Taking_Stock_-_A_U.S._Risk_Assessment.pdf).
In questo caso la valutazione potrebbe essere condizionata dal livello storicamente basso del tasso di sconto, per cui il modello di valutazione dell’azionario, usando un valore del tasso a 10 anni UST o un tasso medio sui corporate, potrebbe incorporare degli “errori” del mercato obbligazionario.
Un modo per ovviare al problema è quindi utilizzare esclusivamente i profitti storici per valutare i prezzi attuali dell’indice S&P 500. Nel chart successivo procediamo ad una analisi grafica semplificata, mettendo in relazione i profitti del NIPA (In totali, con IVA & CCadj, in log). Risulta evidente come i trend di medio periodo delle sue serie mostrino un andamento similare. Le uniche differenze riguardano il periodo 1998-2000 in cui è risultata evidente la crescita dell’indice non accompagnato da utili (ndr. irrational exuberance)
Utilizzando questa relazione provo a rispondere a due domande:
1) Qual è la percentuale di sopra/sottovalutazione del mercato azionario USA?
2) Il bilancio della Fed è significativo se introdotto in questa relazione? Se sì, quanto modifica la valutazione al punto 1)?
Il modello semplificato, stimato con un Dynamic OLS dal 1967, valori trimestrali. Di seguito riporto i miei calcoli derivanti dal modello base e dalle seguenti variazioni:
Modello | % valutazione * | Tassi di interesse | Fed Balance-Sheet |
[1] Profitti (base) | -12.0% | no | no |
[2] Profitti capitalizzati | -23.0% | sì | no |
*valori negativi indicano sottovalutazione |
Nota: errori ed omissioni sono solo miei
In entrambi i modelli il bilancio della Fed non risulta essere significativo. Nonostante gli strumenti siano semplificati e l’analisi bel lungi dall’essere esaustiva, è possibile trarre alcune conclusioni:
1) L’indice azionario USA mostra ancora una certa sottovalutazione se paragonato all’andamento dei profitti delle imprese
2) Il mercato azionario USA sembra più attraente quando si tiene conto dei tassi di interesse, direttamente influenzato dalla Fed e dalle aspettative future sulla politica monetaria
3) Il bilancio della Fed non è significativo, sia nell’aggregato più completo (Base monetaria), sia nella parte relativa alle excess-reserves.
Non facciamoci ingannare dal Tapering, non è ancora il momento di una politica monetaria restrittiva, capace di deprimere sia PIL sia profitti.
L’analisi è interessante e controcorrente. Pongo una domanda.
Considerato che circa il 16% dello S&P 500 è composto da titoli finanziari e che anche i settori non finanziari operano di tesoreria, è lecito attendersi che non solo i corsi ma anche gli utili siano influenzati dalla politica monetaria?
Ti rassicuro che non è controcorrente, ma è molto più facile destare interesse facendo suonare le campane.
Nel dettaglio della mia analisi puramente top-down, riguardo il mondo dei finanziari, gli utili sono direttamente influenzati dai margini sui tassi di interesse, ma sai meglio di me che il ROE di una banca non dipende solo dall'”inclinazione della curva dei tassi”. Se guardi la leva operativa o Fin. Corp. Margins, i livelli non sono fuori scala in prospettiva storica, ma rimangono nella parte alta del range storico (dati FoF della Fed).
Riguardo ai Non-Financials, tenderei ad escludere una relazione significativa che vada oltre il “normale” stimolo ciclico derivante da una politica monetaria espansiva.
Mi spiego meglio: nonostante sia aumentato di molto l’utilizzo del canale corporate bond per il funding (+ che raddoppiato), ciò è stato fatto in larga parte per ridurre altre forme di funding più costose (come mutui, loans e linee di credito). Nel complesso quindi il mondo corporate Non fin USA ha aumentato di poco la dipendenza dal funding (no eccesso di leverage con profitti da tesoreria, come le banche italiane per esempio), ottimizzando invece la fonte di funding intra mercato del debito (ho guardato i dati della Fed su Flow of funds, Table F.102).
Ora mi piace di più. Grazie.
Molto bello questo confronto a distanza con Danilo DT http://intermarketandmore.finanza.com/chart-of-the-year-la-dinamica-che-comanda-i-mercati-60533.html che come noto è anche un collaboratore di piano inclinato.
Non ho gli strumenti e le conoscenze per entrare nel merito, anche se il tutto è nato su twitter scambiandoci qualche tweet prenatalizio e io sono un “esperto” di economia da bar sport…
Quel che mi colpisce è l’atteggiamento costruttivo di entrambi, l’attenzione analitica di liuk e la passione con cui Danilo lavora da anni. Sarò retorico e zuccheroso (troppo glucosio nel sangue perdonatemi) ma una delle cose che manca all’Italia è proprio questa capacità di discutere “a mente aperta” e rispettando, e se il caso stimando, il proprio interlocutore. Civiltà del confronto e capacità di distillare indirizzi, ci manca come l’acqua…
Mi levo il cappello anche di fronte al buon Andrea ex bimboalieno, che da almeno dieci anni ha in mente una “palestra” in cui le idee siano fatte fermentare, ma in modo opportuno, senza la solita contrapposizione fra guelfi e ghibellini e insulti allegati, come stiamo vedendo intorno alla faccenda euro.
Quindi mi corre l’urgenza di ringraziare entrambi: bel regalo di Natale il vostro!
Qualche ulteriore considerazione per comporre il puzzle della ripresa USA:
http://blogs.wsj.com/economics/2013/12/24/mortgage-applications-drop-to-13-year-low/
http://www.motherjones.com/kevin-drum/2013/12/10-reasons-long-term-unemployment-national-catastrophe#
Salve a tutti,
io ho fatto un discorso veramente molto “easy” generalizzando e semplificando molto però con un concetto diverso. Infatti qui l’ottimo Liuk illustra l’eventuale “sopravvalutazione” del mercato. Io invece proprio non la tratto nel mio post, in quanto la mia convinzione si basa su logiche diverse.
Per cominciare, oggi, trovo distorta una qualsiasi analisi che metta in evidenza i parametri tradizionali, P/E, trailing P/E, Q-Tobin, P/E di Shiller ecc ecc.
Il motivo? Perchè secondo me l’impatto della politica monetaria nel breve va BEN oltre a quelle che possono essere le valutazioni dell’equity in un’epoca che poi è ZIRP, ovvero con tassi a zero.
Sono d’accordo che nella “logica tradizionale” le borsa USA oggi è potenzialmente ancora a sconto, come ancora più a sconto lo è quella europea (e non a caso, infatti gli indicatori prima descritti li uso per confrontare i varti mercati e non le borse con il ciclo economico).
Anche stavolta cercherò di banalizzare il tutto proprio perchè non tutti masticano finanza dalla mattina alla sera.
Io credo che questa politica monetaria abbia totalmente modificato le logiche. E’ una questione di flussi finanziari che hanno inondato il mercato, drogandolo (ok, ok, certo che la FED non ha stampato, però sommiamo il QE + margin debt + speculazione che si accoda, credo che si sia creato un bel mix esplosivo). E sono questi flussi che, muovendosi, muoveranno i mercati.
L’esempio più lampante è stato ciò che è accaduto sui mercati emergenti a metà anno.
E quindi fuggire in fretta e furia dall’azionario? Nossignore, non ancora.
Il Tapering sarà progressivo, la FED farà il possibile per rendere il meno possibile pesante la cosa, con la sua strategia comunicativa. Ma questo deve farci stare di più allerta.
Goldrake-Liuk mi sorge una domanda:
“E’ lecito chiedersi come si producano gli utili di dette imprese ed indagare come è cambiato il modo di generare profitti (se è cambiato)?”
Può darsi che la questione sia anche politica e il consolidamento della crisi del 2008/9 passi per:
a) Taglio radicale nella redistribuzione della ricchezza. Gli USA sono un esempio drammatico:
http://www.youtube.com/watch?v=q-rpkZe2OEo
b) Delocalizzazione selvaggia e quindi aumento della disoccupazione in tutti i paesi del G8 o per lo meno in quasi tutti.
http://www.bls.gov/fls/intl_unemployment_rates_monthly.htm#Rchart1
c) Taglio dei servizi e del welfare.
d) diminuzione del potere d’acquisto della middle class e aumento del potere d’acquisto della upper class: la produzione (e l’offerta di servizi) si focalizza su questa utenza.
Concordo con Danilo -insuperabile su questi argomenti- su due cose: 1) modelli di valutazione relativa (historical relative) sono poco utilizzabili poichè per costruzione non hanno ancoraggio con valori assoluti dell’economia; 2) l’analisi top down (sui profits anche senza effetto tassi di interesse) potrebbe sottovalutare l’impatto sulle preferenze dei singoli individui modificando quindi preferenze per il rischio e propensione agli investimenti.
Ciò rende qualsiasi modello meno “affidabile” rispetto al passato. Insomma, la bussola degli investimento e’ più ballerina, ma bisogna pur partire da fact&figures => occhi aperti sempre e più di prima.
Sei troppo gentile Liuk, insuperabile è un pò eccessivo. Però l’importante è appunto parlarne, proprio perchè secondo il mio punto di vista, il futuro prossimo non è facilmente catalogabile se paragonato al “passato”.
Ma son certo che torneremo sull’argomento.
🙂
E cmq complimenti per la tua analisi, sicuramente validissima e difendibile. E quando una tesi è difendibile merita la massima considerazione, anche perchè in finanza, ormai lo abbiamo capito, non esistono più verità assolute.
Ho l’impressione che in sostanza la questione prenda sempre più una piega “politica”, e le strategie per uscire dalla palude recessiva prevedano un accentramento della ricchezza ed un impoverimento delle masse. Cosa ne dici sto diventando uno sporco comunista?
Ti dico subito che tralascio il ragionamento degli effetti della redistribuzione del reddito sul livello stesso del reddito, meriterebbe un corso di laurea a parte.
Posso dirti che un contributo notevole ai profitti è arrivato dal controllo dei costi; comportamento già cominciato nel 2002/2003, e proseguito con maggior forza dal 2008/2009. La leva operativa sui max storici presuppone una struttura di costi molto + snella in proporzione alle capacità di vendita. Allo stesso tempo il Gross National Income è tornato sui massimi storici, quindi la combinazione dei due elementi fa si che la situazione delle imprese americane sia ritenuta buona.
Il fattore di criticità riguarda il cash flow generato, che fa fatica a trovare nuovi investimenti produttivi (e redditizi): il ROIC è ancora su livelli bassissimi e non sembra indicare una risalita neppure ciclica (prob collegato al più basso tasso di crescita potenziale dell’economia).
Quindi a mio parere le imprese per adesso vanno bene e sono capaci di sostenere alti livelli di redditività. Tuttavia in seguito alle crisi degli ultimi anni, hanno ridotto l’orizzonte di sostenibilità, aumentando quindi l’incertezza di ogni investimento azionario.
Amazon deve apparire come un buon esempio di “contenimento dei costi”:
http://www.lastampa.it/2013/11/25/societa/un-pacco-ogni-secondi-bbc-contro-amazon-troppo-stress-lprgMKzl6YrxM55HrJqkyM/pagina.html
Credo che non sia più eludibile sia la questione della redistribuzione, in caduta libera, con conseguenze sociali non immaginabili ora in tutta la loro portata, sia le modalità impiegate dalle imprese per contenere i costi, spesso semplicemente disumane. Il serpente si morde la coda o è una mia impressione?
Su QE USA e JAPAN sembra che le controindicazioni emergeranno solo a frittata fatta
http://www.valuewalk.com/2013/12/quantitative-easing-effects/
La questione della redistribuzione è assolutamente un problema enorme, da affrontare con i mezzi più appropriati e lasciano il più possibile da parte il populismo (es. lavoro per tutti, stipendio di cittadinanza, sussidi per tutti, ricchi premi e cotillon).
In poche righe, e poi scompaio pure io oltre all’Alieno, credo che ci siano profonde divisioni sul metodo da utilizzare. Per esempio, per affrontare le diseguaglianze attuali, non serveno strumenti di lungo periodo, ma soltanto trasferimenti dallo Stato.
Al contrario, se in prospettiva futura vuoi ridurre le diseguaglianze in un paese, non puoi prescindere, per esempio, da una adeguata formazione scolastica (minima) e universitaria, dal creare i giusti incentivi individuali (intendo persone ed imprese) per investire in capitale umano.
Se tu Stato/governo ti concentri solo su uno dei due aspetti, rischi cmq profonde tensioni sociali presenti o future.
CariSSimo LI-UK,
sono a metà del guado tra Te e DT – di cui conosco MOLTO BENE il pensiero, a tal PRO-po-SITO.
E’ davvero “dura” scrivere; in parte avete ragione entr-AMBI: fifty-fifty.
… “L’indice azionario USA mostra ancora una certa sottovalutazione se paragonato all’andamento dei profitti delle imprese” …
In parte è vero, ma non consideri la variabile fiscale.
Le Aziende quotate allo S&P 500 hanno attualmente BEN (circa…senza il “nero”) $836.3B (“RILEVA-men-TO” a fine novembre 2013) in cash (con-tanti aSSiSi) nei L-ORO bilanci.
Per la maggior parte, questo tipo di denaro (SCORTE) viene distribuito in uno dei seguenti tre modi:
1) share buybacks (acquisti di azioni proprie),
2) dividends to investors (dividendi agli investitori),
3) acquisitions (acquisizioni).
La decisione su quale strategia adottare (“distribuire”) viene in genere presa in un “equilibrio” tra le attuali condizioni di Mercato, le opportunità nelle Imprese (“in crescita”) e il sentimento (“generale”) degli Investitori.
Sempre più spesso, le imposte sono un fattore nell’/dell’equazione (“re-distributiva”).
Segnalo due lavori intere-SS-anti: .[dacci/(teci) una sbirciatina].
C. Rosa (Federal Reserve Bank of New York, Board Staff), “How ‘unconventional’ are large-scale asset purchases? The impact of monetary policy on asset prices”, Report No. 560 – New York City: May 21, 2012
http://www.newyorkfed.org/research/staff_reports/sr560.pdf
-ET-
R. Moessner (De Nederlandsche Bank NV), “Effects of explicit FOMC policy rate guidance on equities and risk measures”, Working Paper No. 390 – September 13, 2013
http://www.dnb.nl/en/binaries/Working%20Paper%20390_tcm47-296164.pdf
.[N.B: lE rEfErEncEs di entrambi i lavori sono EccElsE; Ci sono (pERò dUE) CHI-c-CHE].
Un salutone.
✍✓ _s-U-r-f-E-r_ ✍✓