Il film “Lego Movie” è un successo al botteghino, numero due al box office Usa, dopo aver trascorso tre settimane in vetta alla classifica dei film più visti.
Sembrano lontani i tempi in cui la Lego stava per fallire: era il 2003, e la società era reduce da una serie di scelte sbagliate, su tutti i fronti. Bizzarro, dato che nessuno al mondo può vantare un record come quello della Lego, che è riuscita a piazzare i propri prodotti praticamente in ogni casa del pianeta dove esistono dei bambini. Secondo un calcolo, o una leggenda metropolitana, per ogni persona al mondo ci sono 86 pezzi di Lego. Neppure tanto strano però, se fate un giro nella camera dei vostri figli (o nelle vostre camerette di un tempo) e iniziate a contare.
Eppure la Lego ha rischiato di non farcela. Ed è successo quando si è spaventata di non potercela fare contro il mondo dei giocattoli, che stava cambiando irrimediabilmente. Bambini sempre più attratti dai giochi virtuali, dalle App sull’iPad. Senza contare l’ansia di genitori preoccupati che i propri figli potessero saltare la rivoluzione digitale (i nativi digitali). Per questo la Lego aveva iniziato a diversificare forsennatamente: troppi prodotti slegati tra di loro, troppi mattoncini diversi e poco interscambiabili, e addirittura un brand per mettere il proprio marchio su vestiti ed orologi.
Poi, la svolta. La risalita della Lego è iniziata con la nomina ai vertici di Jorgen Vig Knudstorp. Una mossa che all’epoca aveva il sapore dell’ultimo tentativo. 35 anni, cresciuto in McKinsey, ha immediatamente decretato che la compagnia doveva “tornare al mattone”, focalizzandosi sui prodotti core e sfruttando al massimo la pubblicità derivante dai propri parchi a tema.
Knudstorp ha ridotto la produzione di pezzi, portandoli da 12.900 a 7.000, ma ha fornito ai clienti una ragione per allargare il loro stock di mattoni Lego. La compagnia produce una serie di modelli già pronti, come i fortini e le navicelle spaziali, ma con moltissimi pezzi in comune tra i diversi kit. Pezzi che possono essere aggiunti alla collezione di ogni bambino, che allo stesso tempo li può riutilizzare come vuole per costruire tante altre cose e stimolare infine la creatività personale, senza dover per forza restare legato al modello così come venduto nella scatola.
Negli anni della deriva la Lego aveva anche fatto troppo affidamento a prodotti altrui per cercare di vendere i propri mattoncini, come dimostrano le serie di giochi legati ad Harry Potter e Guerre Stellari. Il film “Lego Movie” evidenzia chiaramente due cose: la prima riguarda la forza che ancora emana il marchio, capace di attrarre al cinema anche i bambini di oggi. La seconda ha a che fare con la corsa al mondo virtuale che tanto male aveva fatto alla compagnia nei primi anni 2000: basta avere un partner giusto (in questo caso la Warner Bros) senza per forza dover internalizzare il business , per sfruttare al meglio le potenzialità del virtuale.
La prossima sfida si chiama continuità nella crescita, e per questo la Lego guarda alla Cina. La classe media del Paese sta esplodendo, mentre il business dei giocattoli in Occidente è stagnante. Lego deve sfruttare al meglio la reputazione di cui gode. I genitori sono ancora convinti che i mattoncini Lego siano i migliori per i loro bambini. Ed ovunque sono visti come un momento di salutare pausa dai videogame, per stimolare fantasia, creatività e voglia di fare.
Il nome Lego deriva dalle iniziali dell’espressione danese LED GODT (giocare bene). Il motto della compagnia è “Nutrire il bambino che c’è in ognuno di noi”. La Lego ha ricominciato a farlo. Per fortuna.