Mi risuona nelle orecchie il refrain di Mogol-Battisti “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… le discese ardite e le risalite…”
Al consueto incontro agostano di Jackson Hole, disertato dal nostro Mario Draghi, Janet Yellen è tornata a suonare la solita canzone:
“the case for an increase in the federal funds rate has strengthened”
E’ dall’estate del 2013 che la Fed, prima con Bernanke e ora con Yellen, parla di normalizzazione dei tassi. Per agire manca sempre un pezzettino: la velocità di crescita del PIL, il coefficiente di inflazione, la salute dei mercati emergenti… anche a questo giro non mi aspetto che si vada oltre le parole, oltretutto siamo in un contesto elettorale negli USA e un rialzo dei tassi sarebbe una azione di “disturbo”. Prima di dicembre, a dato elettorale acquisito, è improbabile che accada qualcosa di concreto sul fronte tassi.
Maggiormente ora che il presidente della Fed di San Francisco, John Williams, ha pubblicato un’ipotesi di innalzamento del target di inflazione dall’attuale 2%. L’ipotesi è stata derubricata dalla presidente Yellen (“we are not actively considering such a move”), ma è chiaro che intanto il sasso è stato lanciato e un target di inflazione più lontano renderebbe meno urgente la necessità di un rialzo[sociallocker].[/sociallocker]
Il mercato del lavoro va talmente bene (venerdì uscirà il dato di agosto, sono attesi oltre 175mila nuovi posti) da iniziare a preoccupare: man mano che l’occupazione arriva verso i suoi massimi fisiologici, il contributo dei lavoratori alla crescita dell’economia verrà meno e già oggi il PIL reale americano cresce “solo” del 1,2% annuo (era 3% appena un anno fa). Naturalmente l’aspetto migliore di una occupazione vicina al top è quello di poter originare l’inflazione migliore: quella da salari.
Per quanto mi riguarda, quindi, ci vediamo a dicembre, Janet. Sperando che nel frattempo non scoppi qualche disastro.

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