In un precedente articolo scrivevo:
Ma se le economie emergenti asiatiche hanno tutta l’intenzione di avanzare e prendersi quote maggiori di GVC, che già altre economie asiatiche avanzate ci hanno già tolto, allora noi europei come reagiremo alla possibile futura perdita del nostro posizionamento nelle catene produttive mondiali?
Proviamo a spiare il futuro.
La costituzione di Trattati di libero scambio in tutto il mondo (TTIP, TTP e FTAAP) e di banche internazionali di sviluppo (la AIIB per esempio), ricopre un ruolo importantissimo e fondamentale negli equilibri geopolitici, e ben venga che blog come Piano Inclinato ne sollecitino la discussione al riguardo:
La creazione del FMI, la sigla degli accordi di Bretton Woods, la stessa Unione Europea nelle sue varie fasi storiche sono alcuni esempi del tentativo di evitare le cause degli attriti internazionali che portarono a guerre nel secolo scorso.
E il lavoro più difficile è quello tecnico dei dettagli: il mutuo riconoscimento sugli standards di beni e servizi, sulle normative ambientali, della salute, della sicurezza del lavoro e la sua rappresentanza sindacale, tanto per citare alcuni dei più importanti.
Ma cosa succede quando, in un mondo senza leadership e con nuove potenze antagoniste emergenti, tali Trattati cominciano a proliferare per numero e con prevedibili e presumibili significative differenze a livello degli standards su elencati?
È plausibile immaginare e temere che si creerebbero “blocchi antagonisti” di dimensione intercontinentale?
E se questi blocchi invece di creare equilibrio producano invece disequilibrio?
È mio parere che così sia.
Nella corsa ai Trattati in fase di scrittura, l’unica cosa che appare chiara è il tentativo delle maggiori potenze di posizionarsi nel nuovo Grande Gioco in cui però emerge, accanto alle idee chiare di Pechino , un atteggiamento ondivago e senza strategia degli USA (ne è esempio l’autoesclusione dalla AIIB, l’aver rimandato al 2025 la ratifica parlamentare del FTAAP e la recente accelerazione sul trattato TTP che è concorrente del FTAAP) e della UE.
I recenti successi cinesi per la creazione della AIIB fanno pensare che si stiano gettando le basi per una struttura, dai pesanti connotati politici, concorrente alla Banca Mondiale.
Pechino vuole decidere (quasi) da sè senza dipendere da USA e Giappone, questo è palese.
Quanto tempo passerà prima che la AIIB diventi il “braccio finanziario” di un Trattato di libero scambio asiatico a trazione cinese, di cui un embrione sembra essere il FTAAP, di cui invito a leggere questo articolo ?
E come reagiscono a questo scenario le economie avanzate occidentali?
L’eventuale sigla dell’accordo TTIP fra USA e UE sembra basarsi sulla ricerca di convergenze normativo-economiche su standard più alti di quanto ipotizzabile per l’Estremo Oriente, potenzialmente inaccettabili da quest’ultimo e foriero quindi di generare proprio quel duplice “blocco economico”cui prima accennavo.
È pur vero che la firma del TTIP garantirebbe dei vantaggi all’Europa in termini di un mercato integrato più esteso e, come sostiene Roundmidnight, che ciò favorirebbe la coesione della UME.
Tuttavia ritengo che in sè il TTIP non renderà definitivamente più stabile l’architettura della UME, in quanto neppure i precedenti trattati di libero scambio della UE hanno salvaguardato il continente dalla crisi del 2008-2015.
Le cause che continueranno a minarne la stabilità sono le tensioni dovute alla mancata convergenza dei parametri macro, necessari ad una Area Valutaria Ottimale. E il varo di una Vigilanza bancaria e una Unione Bancaria uniche, nonchè dei fondi ESFS/ESM e delle regole di salvataggio bancarie non terminano la lista di convergenze da ricercare.
Anche l’analisi di Prometeia che stima sensibili vantaggi per il processo di integrazione e apertura transatlantici si basano a mio parere eccessivamente sulla fiducia nella diminuzione dei prezzi dei beni in circolazione.
L’esperienza di analoghi trattati del WTO mi fa invece pensare che le riduzioni più significative dei prezzi si siano avute al momento dello “scontro” con economie caratterizzate da maggiori produttività del lavoro, minori costi per sicurezza, salute, protezione ambientale, lavoro e rappresentanza sindacale nonchè protezione di marchi e brevetti. Non certo quindi con economie già a noi più vicine.
Tutto quanto premesso, è mia opinione che il TTIP avrà in termini relativi un impatto di gran lunga inferiore a quello di un trattato asiatico di circolazione di merci persone e servizi.
Inoltre, se AIIB riuscisse nell’obiettivo di dare impulso allo sviluppo di infrastrutture e imprenditoria dei paesi emergenti, questo creerebbe le condizioni per un aumento della domanda di materie prime, e di manodopera. A parte le ovvie ricadute in termini di crescenti costi delle commodities per le anemiche economie occidentali, si creerebbero le condizioni per un deflusso di immigrati verso i rispettivi paesi natii, in cerca di occupazione.
Osservando il basso grado di natalità degli europei, l’invecchiamento della popolazione e il ripetuto mantra che gli immigrati avrebbero “salvato il nostro sistema pensionistico” (oltre ad occupare impieghi altrimenti snobbati da molti nativi europei), il futuro per noi si fa più scuro.
Si potrebbe quindi dedurne che per permettere al TTIP di avere i maggiori benefici, si debbano introdurre dazi, barriere e contingentamenti ai prodotti asiatici, che però assomiglia molto a quelle guerre mercantiliste e valutarie che hanno condotto il Secolo Breve al conflitto.
E vogliamo veramente alzare barriere che ci priverebbero di una potenziale (benchè ancora oggi ipotetica) nascente middle class di milioni di nuovi consumatori asiatici?
Ritorniamo perciò al punto di partenza: l’unica vera e adeguata strategia sarebbe quella di cercare una globale convergenza normativa ed economica su standard che garantiscano la ricerca occidentale di sicurezza e il bisogno di sviluppo dell’Oriente. Ad oggi, un progetto puramente onirico.